Una cosa, è certa. Nel bene e (purtroppo molto più spesso) nel male, da queste parti, non ci si annoia mai. Del resto, se ci piacessero le cose semplici e se soprattutto ci piacesse vincere facile, non staremmo qua a impazzire, litigare, discutere, soffrire, gioire con poco e farci condizionare umore e giornate per una maglia (viola) ed una squadra (la Fiorentina) che sono la perfetta rappresentazione dell'amore: nessuno come la persona che più ami al mondo è capace di farti inc...ma nessuno, allo stesso tempo, sa riempirti il cuore e farti scoppiare di vita come lei/lui. E allora chissenefrega (si, tutto attaccato, come piace a noi) se ci tocca patire come pochi (diciamo pure pochissimi) e aff....a chi ci vuole male. Lo scrisse la curva in un Fiorentina-Juventus di qualche anno fa e vale la pena ricordarcelo sempre: “Bastano i nostri colori, a farvi sentire inferiori”. Ecco. Semmai, volendo fare una riflessione un po' più seria, sarebbe bello riuscire a investirci di più su questo straordinario senso di appartenenza. Mica semplice, sia chiaro. Servono tempo e pazienza (questa sconosciuta), voglia di costruire dal basso (tranquilli, amanti del calcio del palla lunga e pedalare, qua non si parla di filosofia di gioco) e capacità, appunto, di tirar su un sentimento che sia condiviso da tutti: città, squadra, società, settore giovanile. Non chiamiamolo stile (a qualcuno potrebbe venire in mente una roba a strisce bianconere) e nemmeno modello (sia mai, che qua siam suscettibili) ma, perché no, proprio sentimento. Un concetto che può contener tutto: la passione per la maglia e per Firenze, il conoscere cosa rappresenti il calcio per i fiorentini, l'identità. E potremmo andare avanti, ma direi che ci siamo capiti. Il processo sarebbe ovviamente lungo, come detto, eppure se penso alla squadra di oggi (e in particolare a gente come De Gea, Dodò, Comuzzo, in parte Ranieri, Gosens...) mi pare che la base sia bella solida. L'identificazione tra gruppo e città insomma, parlando di molti calciatori appena arrivati, mi sembra la forza più grande su cui (provare) a costruire qualcosa di grande. Fatta questa (lunga, pardòn) digressione, torno al punto di partenza e provo a guardare oltre. Il 2024 che abbiamo appena salutato è stato (tanto per cambiare) un anno pieno. Forse troppo. Perché va bene essere abituati praticamente a tutto, ma oggettivamente Firenze e la Fiorentina ultimamente son stati messi davanti a prove che nessuno, ma proprio nessuno, meriterebbe. Una terza finale persa, parlando di pallone che rotola, ma soprattutto quello che è successo a margine. Parlo ovviamente della scomparsa di Joe Barone, tanto per cominciare, e in questi giorni di festa il pensiero alla famiglia (e ai figli in particolare) va ancora più forte. Perché è in periodi come questo, quando si è circondati dalle persone care, che chi se ne è andato bussa con più insistenza di sempre alla porta della nostalgia e del cuore. E parlo, va da sé, del lutto che ha colpito mister Palladino e per il quale vale esattamente quando detto per l'ex dg. E come dimenticarsi di Edoardo Bove. Un ragazzo clamoroso, per la determinazione con cui ha affrontato e sta affrontando questa complicatissima sfida e che qualsiasi cosa gli riservi il futuro resterà per sempre un figlio (uno dei tanti, perché siamo rompipalle ma siamo unici per capacità di amare) di Firenze. Qualcuno direbbe che è stato un anno da dimenticare, e forse in parte è così. In realtà però, io penso che noi siamo frutto di tutto quello che viviamo, di tutto quello che ci accade, di tutte le esperienze e di tutte le persone che incontriamo. Per questo insomma son convinto che anche (o forse soprattutto) a causa di quella lunga serie di sofferenze la Fiorentina può diventare (e in parte lo sta dimostrando) più forte. E non mi riferisco soltanto al rendimento sul campo. Mi riferisco ad un atteggiamento diverso della società, ad un rapporto più costruttivo con media e istituzioni, ad una divisione e condivisione più chiara dei ruoli e delle competenze. Perché sbagliando, e soffrendo, s'impara. Basta volerlo. E' giusto allora accogliere il 2025 appena iniziato a braccia aperte (perché dopo un po' anche basta eh...) e andargli incontro con un sorriso, qualche desiderio, e un sogno. Volendo ridurre al massimo le pretese, nel senso di non volerne elencare troppe, mi limiterei a queste due: la qualificazione alla prossima Champions (va bene anche l'Europa League, magari mettendoci la vittoria della Conference) e la soluzione definitiva (che non significa ovviamente lavori finiti) della questione stadio. Chiedo troppo? Forse si, forse no. Sarà la storia, e il nuovo anno, a dirlo. Intanto, godetevi ancora per qualche ora bagordi, feste, abbuffate e brindisi. Soprattutto, godetevi chi vi vuole bene e se potete, oggi pomeriggio, portate i bambini al Franchi a vedere l'allenamento. Perché per costruire quel “sentimento” condiviso, bisogna partir presto... BUON ANNO, TIFOSI VIOLA!