PAVIA. Da venerdì 10 a domenica 12 gennaio al Fraschini ci sarà lo spettacolo che forse nessuno si aspettava. Franciscus, il folle che parlava agli uccelli, di e con Simone Cristicchi, prodotto dal Centro Teatrale Bresciano, in tournée da poco più di un mese, sta riscuotendo un successo per molti versi sorprendente. Lo scrittore Franco Cordelli ha definito lo spettacolo un «capolavoro del nostro teatro... uno degli spettacoli più potenti che si ricordi». Detto da lui, che è che forse il più noto critico teatrale italiano, è un invito esplicito a non perdere lo spettacolo (per la cronaca: al Fraschini ci sono ancora molti posti liberi).
«In scena ci sono solo io. È un musical dove il protagonista è un umile venditore di stracci»
Simone Cristicchi, stupito di questo giudizio?
«Lusingato sicuramente. Una recensione di un personaggio così è un trofeo da appendere alla parete. Posso dire che in questo Franciscus dò tutto il meglio di me».
Al Fraschini l’abbiamo visto una decina di anni fa con un altro spettacolo sorprendente e anche un po’ di rottura, Magazzino 18, ora presenta Franciscus. Cosa hanno in comune?
«Sono fondamentalmente due musical e sono gli esiti di due articolati percorsi personali. Magazzino 18 nasceva dalla voglia di conoscere quel dopoguerra ferito, la spartizione del confine orientale. Era uno spettacolo di ricerca. Francesco prende le mosse da un’esperienza diretta, nel senso che sono andato a sperimentare la vita francescana. Ho fatto esperienze in alcuni eremi, ho arricchito il mio bagaglio emotivo con lunghe settimane di isolamento, che mi hanno aiutato a entrare nella visione di San Francesco sempre con una consapevolezza: mi stavo mettendo di fronte alla mia mediocrità».
Qual è il messaggio del suo Francesco?
«Ci parla dell’oggi, la mia non è una rappresentazione caricaturale. Il mio Fransceco è un uomo che ha una potenza rivoluzionaria, che e con la sua testimonianza di vita è universale».
Cristicchi, lei è credente?
«Sono stato battezzato, ho fatto la cresima e la comunione anche se non sono un praticante. Credo in un dio molto personale, se vogliamo chiamarlo dio, o energia cosmica. Credo che ci sia un grande mistero - come diceva Bobbio - dentro e fuori l’uomo. In questo mio modo non mi reputo ateo, sicuramente no».
«La “chiamata” di Carlo Conti al festival di Sanremo è stata un fulmine a ciel sereno»
Dal punto di vista della sua carriera, tra musica e teatro, come si incasella Franciscus?
«Potrei dire che fa parte di una triologia: prima il film “Happy Next - Alla ricerca della felicità”, cui ha fatto seguito lo spettacolo teatrale sul Paradiso di Dante, in particolare il canto 33, il capolavoro assoluto. Il terzo è, appunto, Francesco, l’uomo che si fa divino».
Cosa fa Francesco?
«Una piccola rivoluzione. Ci spiega come dall’infinitamente piccolo, possiamo influenzare l’infinitamente grande. Tutti possono fare la loro parte, la facciamo anche quando non ci pensiamo. Comunque plasmiamo gli altri».
Nello spettacolo si parla di “dialogo”, “incontro”, “diversità”. Diciamo che non sono parole di gran moda.
«Lo spettacolo è un po’ controcorrente; prendo posizione e mi faccio portavoce attraverso Francesco per scuotere le coscienze. Ovviamente ci sono anche tanti interrogativi sulla scelta della spoliazione di Francesco. E’ un invito alla sobrietà, un invito a togliere il superfluo nelle nostre vite, a tornare all’essere umano».
È stato difficile scrivere il testo?
«Ho lavorato con la bravissima scrittrice Simona Orlando: volevo una figura esterna un contemporaneo di Francesco che raccontasse, un suo paesano. Inizialmente immaginavo un suo frate, poi abbiamo inventato questo personaggio, Cencio, lo straccivendolo, che porta la materia prima per realizzare la carta, trasforma gli scarti in qualcosa di bello».
Cencio usa un linguaggio inventato.
«Io, Simone, che vengo dal mondo di oggi incontro Cencio, che parla un gramelot umbro-marchigiano, una lingua che è anche un po’ italiano e francese. Un lavoro, che evolve a ogni spettacolo».
Nella sua carriera ha avuto un maestro?
«Il mio primo maestro è stato Alessandro Benvenuti, ho imparato da lui i monologhi a più voci. Mi diverte tanto cambiare ruolo, atteggiamento e carattere. Interpreto la parte in modo molto fisico. In questo senso è una prova d’attore faticosa. In futuro mi piacerebbe fare uno spettacolo con tanti personaggi, una sfida con me stesso. Mi piacerebbe mettere insieme Beckett o Pirandello, fare tutti i personaggi in commedia».
Dicono che più che un attore lei sia un performer.
«Sì, mi sento un performer, non ho fatto una scuola di recitazione e forse per questo non sono capace di lavorare con gli altri. Il mio è un teatro civile, o filosofico, se si può dire».
La sua cifra è comunque la leggerezza, anche quando parla di temi forti.
«Il mio traguardo è mettere d’accordo pubblico e critica. Penso di esserci riuscito a Sanremo quando ho vinto cantando “Ti regalerò una rosa”. Inseguo questo obiettivo: un teatro non puramente intellettuale, metafisico. ma un teatro con messaggi alti che capisca anche chi non legge nemmeno un libro l’anno».
A proposito di Sanremo, torna in concorso quest’anno. Come è successo?
«È stato un fulmine a ciel sereno. Ho mandato la canzone a Carlo Conti e mi ha invitato. Si intitola “Quando sarai piccola”, il tema è quando nel corso della nostra vita diventiamo i genitori dei nostri genitori ormai anziani. Altro, ovviamente, non posso dire di questo».
