Con la fuga di Bashar al-Assad, si reitera lo sbaglio fatto con Saddam Hussein e Muhammar Gheddafi: esultare per il dittatore caduto. Purtroppo non si può misurare il mondo con un metro ormai inservibile.
Ci risiamo. Il copione si ripete puntualmente, con tutti i suoi errori e noi incuranti, nonostante le lezioni del passato. Da svariati decenni, l’Occidente, la Nato, gli Stati Uniti e al loro seguito l’Europa e l’Italia esultano per la caduta del dittatore, e sotto sotto tifano, se non sostengono, direttamente o indirettamente, il rovesciamento armato del potere. Vedono nella fine del regime autoritario un trionfo della democrazia, dei diritti, della libertà. Poi, dopo il dittatore arriva il Califfato jihadista o comunque lo Stato islamico, arrivano i fanatici dell’Islam, fino a ieri definiti terroristi, e scoppia la lotta sanguinosa tra le fazioni. Dall’autocrazia alla teocrazia. Accadde in Iraq al tempo di Saddam Hussein, poi in Libia al tempo di Muhammar Gheddafi, ora in Siria al tempo di Bashar al-Assad, nonostante i rassicuranti preliminari. E cito solo i casi più famosi: ricorderete l’esultanza occidentale per la primavera araba nei Paesi del Maghreb dove furono abbattuti regimi autocratici e paternalistici e poi arrivarono al loro posto i fanatici della Fratellanza Islamica, le violenze e l’instabilità dell’area? Dall’Algeria alla Tunisia e all’Egitto, e non solo. Intanto prendeva corpo l’Isis e la minaccia terroristica sbarcava in Europa, a colpi di stragi e agguati.
Lo stesso errore di giudizio compiamo nei confronti dell’Iran, da decenni accusato di fomentare il terrorismo, senza renderci conto che la sua matrice, da Al Qaeda all’Isis, passando per tanti gruppi e assassini solitari, è quasi tutta nell’Islamismo sunnita, mentre l’Iran è sciita. Da decenni, almeno dall’Afghanistan in poi, l’Occidente arma e sostiene fanatici per abbattere altri regimi che considera nemici, potenziando orde di nemici più feroci. L’ignoranza geopolitica e geoculturale produce alle volte brutti scherzi.
Il grado di inimicizia lo misuriamo con parametri sbagliati. Una dittatura è un inaccettabile passo indietro per una democrazia e per uno stato di diritto; ma è un passo avanti rispetto alla sharia e al jihad, la guerra santa islamica. Bisogna sempre fare paragoni per capire se si sta facendo un passo avanti o indietro, capire i soggetti in campo e le alternative. In quei contesti, le dittature, pur cruente, sono stati regimi di modernizzazione autoritaria e di transizione militare, argini rispetto ai regimi fondamentalisti e integralisti.
Non si possono usare i paradigmi della storia d’Occidente in Africa, in Asia o in Medio Oriente. Perché poi finiamo con l’ammazzare, come disse Winston Churchill, «il porco sbagliato», e colpire un male minore e circoscritto aprendo la strada al male maggiore ed espansivo. Infatti quei regimi autocratici avevano un carattere prevalentemente nazionalistico ed erano impegnati dentro i propri confini, non cercavano alleanze espansionistiche e guerre sante. Lo Stato islamico, invece, si allarga al di fuori dei confini nazionali, si collega alla fratellanza islamica, vuole espandersi e cerca alleanze per conquistare e convertire, e si pone in antagonismo radicale con l’Occidente miscredente, sia esso ateo o cristiano. E la Siria ora passa sotto l’area d’influenza di un’autocrazia d’ispirazione islamica, come la Turchia di Recep Tayyp Erdogan. La speranza è che una volta al potere i terroristi di ieri diventino illuminati e moderati e vengano tenuti a freno dall’alleato turco che perlomeno ha senso della realtà. Ma visti i precedenti in Iraq, in Libia e nelle altre nazioni arabe, non c’è da nutrire molta fiducia. Nel frattempo Israele bombardava anche la Siria col sostegno americano.
Tira una brutta aria nel mondo, che ha coinciso, guarda caso, con l’amministrazione dem di Joe Biden negli Stati Uniti. Troppi focolai di guerra, troppi fronti aperti, troppi colpi di Stato striscianti, troppa intermittenza nel giudicare le tornate elettorali: se vincono i partiti e i leader graditi agli Stati Uniti sono valide e corrette, se vincono quelli graditi alla Russia o ad altre potenze non sono valide e sono truccate. I tentativi di manipolazione e le interferenze sono probabili, ma da ambo i versanti. Popoli europei come i romeni perdono la loro sovranità popolare, premessa alla perdita della sovranità politica e nazionale, se divergono nel voto dalle Direttive Generali imposte dai Comandi. In Occidente provano a mandare fuori strada i leader e i movimenti non allineati con le inchieste giudiziarie, le criminalizzazioni, i cordoni sanitari e le campagne mediatiche, come è il caso ora di Marine Le Pen; altrove si spingono a modificare o respingere i verdetti elettorali o addirittura ispirano golpe, eliminazioni e reclutano classi dirigenti asservite.
Tutto questo, oltre ad alterare il quadro di molti Paesi e a interferire pesantemente sul diritto all’autodeterminazione dei popoli, produce effetti deleteri sulla scacchiera internazionale: esaspera gli antagonismi, arma, coalizza e ingrossa schieramenti ostili, genera controffensive e controstrategie d’infiltrazione coloniale, chiama in causa e risveglia potenze finora dormienti.
Non bastava quel che sta succedendo tra Israele, Palestina, Libano e in tutto il Medio Oriente, o in Corea, in Ucraina e adesso in Romania, cioè in Europa; ora è di turno anche la Siria; nei quattro anni di amministrazione interventista americana, il quadro mondiale è stato violentemente scosso, fino a diventare incandescente, la tensione con la Russia e l’Iran è salita alle stelle, il rapporto con gli Stati dei Brics si è fatto più spinoso e il rischio di una guerra mondiale è cresciuto enormemente. Troppi arsenali atomici sono in fibrillazione. E noi dovremmo esultare perché il dittatore Assad è caduto e hanno vinto i terroristi jihadisti... Quanti cervelli fulminati sulla via di Damasco...