Una decina di anni fa emersero dei nuovi ed inediti particolari sulla controversa e drammatica stagione 1994 di F1, anno del duello mondiale fra Michael Schumacher e Damon Hill. Un confronto appassionante che vide il suo epilogo con la sfida di Adelaide.
Michael Schumacher and Damon Hill collide in Adelaide. Separated by a point, Schumacher wins his first world championship
Australia – 1994#F1 pic.twitter.com/eOg1PkIdom
— F1 History (@TodayF1History) January 15, 2024
Ospitiamo oggi questo articolo di Luca Ferrari su Michael Schumacher e sulle ombre che portarono il pilota tedesco a conquistare il suo primo titolo mondiale F1 con la Benetton.
Le indiscrezioni più interessanti, trapelate attraverso la stampa inglese, riguardano la vettura con cui Schumacher vinse quel campionato piloti: la Benetton B194 spinta dal V8 Ford ufficiale. Una monoposto all’apparenza evoluzione di quella della stagione precedente, ma che garantì un notevole salto in avanti nelle gerarchie della griglia complice anche l’abolizione degli aiuti elettronici alla guida. Scelta, quella del repentino cambio di regolamento, maturata fra l’autunno e l’inverno del 1993 per tarpare le ali allo strapotere della Williams Renault. Un periodo troppo breve per consentire ai team di imbastire dei correttivi validi ai fini delle decisioni operate dall’organo di governo sportivo. La macchine erano già state pensate per continuare ad utilizzare sospensioni attive e relativi sistemi di assistenza alla guida, come ABS e controllo di trazione.
La Williams fu appunto la più penalizzata perché nata in funzione dei suddetti equipaggiamenti elettronici. Ma non è sulla FW16, così era denominata la monoposto di Grove del ’94, che voglio concentrare la mia attenzione in questo articolo. La B194 era come detto nata da una costola della B193, anch’essa motorizzata Ford, ma subito scesa in pista si capì che il binomio tra lei e il venticinquenne ‘Schumi’ sarebbe stato potenzialmente vincente.
All’esordio in Brasile il tedesco vinse in casa di Ayrton Senna che alla sua prima in patria con la Williams fu costretto al ritiro per testacoda durante l’inseguimento al giovane asso di Kerpen. “Ho una sensazione negativa nel guidare questa macchina e anche nello spingerla al limite – aveva dichiarato dopo quella gara Ayrton –. Alcuni attribuiscono questa cosa alla mancanza dell’elettronica. Inoltre la vettura possiede delle caratteristiche di cui non mi fido ancora pienamente. Questa sarà una stagione caratterizzata da molti incidenti e saremo fortunati se non accadrà nulla di serio a nessuno”. Parole che suonano sinistre alla luce di quanto poi accaduto il 1° maggio dello stesso anno a Imola.
Ad Interlagos in Senna iniziarono però a serpeggiare i primi dubbi sulla Benetton. Dubbi alimentati ulteriormente durante la corsa successiva, disputata ad Aida in Giappone e valida come GP del Pacifico. In quell’occasione, costretto nuovamente al ritiro dopo un contatto in partenza, il brasiliano rimase a bordo pista a guardare la gara e notò qualcosa di particolare al passaggio della vettura di Schumacher. Ayrton si convinse infatti che il motore della Benetton facesse uno strano rumore. L’idea era quella di un utilizzo del controllo di trazione, espediente espressamente vietato dal nuovo regolamento. Successivamente alle perplessità di Senna la FIA aprì, dopo il tragico GP di San Marino, un’indagine e richiese a tre team: Ferrari, Benetton e McLaren, di fornire riscontro sui propri sistemi informatici. La Ferrari rispose prontamente consegnando i codici sorgente richiesti. La stessa FIA confermò poi durante il weekend di Silverstone la legalità delle auto del Cavallino, mentre sia McLaren che Benetton lo fecero con molto ritardo. Motivo per il quale vennero entrambe multate di 100.000 dollari per il loro iniziale rifiuto a collaborare. Una volta acquisiti i codici sorgente degli ultimi due team, la società incaricata dalla Federazione di analizzare i dati scoprì che la McLaren utilizzava un software per la selezione automatica dei cambi di marcia. Soluzione che venne però considerata legale. La Benetton, invece, avrebbe nascosto tra i suoi codici un file per la gestione del launch control. Ovvero del sistema di partenza assistito. Un aspetto vietato dalle normative entrate in vigore nel 1994.
A riprova di questa tesi, il quotidiano britannico Indipendent, pubblicò sulle proprie pagine uno scoppiettante articolo nel quale descriveva come la scuderia di Enstone avrebbe fatto uso di detto file occultandolo all’interno del menù dei programmi. Il tutto poteva essere attivato facendo uno ‘scroll’ verso il basso della schermata del pc adoperato per la gestione della vettura. L’attivazione avveniva selezionando una riga vuota e premendo successivamente una chiave segreta. Una volta effettuata questa operazione il sistema di partenza assistito era operativo. Ross Brawn, all’epoca, responsabile del muretto Benetton, spiegò che tale sistema sarebbe stato troppo complicato da usare in gara e venne impiegato solo durante dei test privati. Il fatto che fosse appositamente nascosto era per evitare che venisse attivato per errore. Detto ciò la FIA non riuscì a provare l’applicazione del launch control e non poté intervenire dal punto di vista disciplinare. “Questo è sufficiente a farmi credere che stessero imbrogliando – aveva dichiarato un non specificato specialista di sistemi informatici di un altro team al sito britannico GrandPrix247.com –. Guarda, noi abbiamo ripulito da tutti i sistemi illegali il nostro software durante l’inverno. L’ho fatto io stesso. Mi ci sono voluti due giorni e questo è tutto. Semplicemente perfetto e il fatto che il loro fosse occultato è sospetto”.
Tuttavia, se la federazione non era riuscita a provare l’utilizzo del controllo di trazione in partenza della B1914, gli uomini dell’organo di governo sportivo della F1 appurarono che la Benetton aveva eliminato il filtro montato sulla valvola di sicurezza utilizzata nella macchina per il rifornimento di carburante durante i pit stop. Sistema reintrodotto proprio nel 1994 dopo la sua prima apparizione in F1 nel 1983. L’assenza di questo filtro consentiva un’immissione più rapida del carburante nel serbatoio facendo guadagnare il 12.5% di tempo per eseguire l’operazione. Ciò spiega perché le soste ai box della scuderia con base ad Enstone fossero più rapide della concorrenza. Durante il GP di Germania 1994, la monoposto del compagno di squadra di Schumacher, Jos Verstappen, si incendiò durante il rifornimento proprio a causa di questo componente mancante. Fortunatamente il fuoco venne prontamente spento e il pilota olandese se la cavò solo qualche lieve ustione.
Jos Verstappen, Benetton-Ford, lucky to escape with only minor burns, 1994 #GermanGP, #F1 pic.twitter.com/O0DlnWt79O
— F1 Images (@F1_Images) July 28, 2016
La vicenda finì in un’aula di tribunale, ma il verdetto non stabilì che la Benetton stesse espressamente barando. Venne però riconosciuto che si fosse avvantaggiata eliminando senza autorizzazione l’elemento che riduceva il rischio di incendio.
L’indagine FIA sugli aiuti elettronici illegali non portò a nulla di concreto, ma nel 2015, Willem Toet, aerodinamico della Benetton nel 1994, confermò attraverso un articolo pubblicato su Linkedin, che il suo team sviluppò un sistema in grado di riprodurre il controllo di trazione attraverso il ‘taglio’ della scintilla prodotta dalle candele di accensione di ogni singolo cilindro del motore. Un escamotage che l’orecchio attento ed allenato di Ayrton Senna aveva percepito a bordo pista ad Aida qualche settimana prima di scomparire tragicamente a Imola. A confutare la teoria del campione brasiliano era stato anche l’altro pilota del team diretto da Flavio Briatore, il già citato Jos Verstappen, il quale ritiene che se i sistemi illegali sono stati impiegati è stato fatto solo sull’auto di Schumacher. “So quello che è successo quando eravamo insieme alla Benetton – spiegò anni fa il padre di Max –. La gente pensa che stia cercando scuse, ma so che la sua macchina era differente dalla mia. Pensavo che fosse impossibile fare altrettanto. Ho provato a frenare al limite e affrontare le curve nel modo più veloce possibile e così mi dissi: ‘Ma come fa Schumacher a farlo?’ C’era qualcosa che non andava. C’erano aiuti elettronici. Non è mai stato detto, ma io ne sono convinto. E quando poi lo chiesi a Flavio Briatore lui rispose: ‘Cerchiamo di non parlarne’. Quindi adesso penso di sapere abbastanza”.
Parole che ovviamente non possono provare nulla, soprattutto perché un pilota cerca sempre di trovare una spiegazione sul perché è meno veloce del compagno di squadra, ma che alla luce di tutto quanto non possono che infittire ulteriormente il mistero che avvolge ancora oggi la monoposto che portò Michael Schumacher a conquistare il primo titolo della carriera in F1.
Scritto da: Luca Ferrari
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