Lui ostenta sicurezza e ieri sera attribuiva a Ezra Pound il suo motto del momento: “Se un uomo non è disposto a correre un rischio per le sue idee, o non valgono niente le sue idee o non vale niente lui”. Ma Matteo Salvini si trova davanti a un bivio: l’ex ministro dell’Interno è a Palermo dove oggi è attesa la sentenza del processo Open Arms in cui è accusato di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio per aver bloccato lo sbarco di 147 migranti soccorsi dalla ong spagnola nel 2019. Se condannato, il vicepremier rischia una pena di sei anni di reclusione.
Comunque vada a finire, Salvini ha annunciato che non si dimetterà: “Assolutamente no, ci mancherebbe. Per quale motivo?”, domandava domenica a margine del congresso della Lega a Milano. Che a inizio anno dovrebbe riunire il congresso del partito, rinviato da tempo, e al momento il segretario non vede rivali all’orizzonte in grado di contendergli la leadership. “Ci sono in ballo 6 anni di carcere e un milione di euro di risarcimento danni a mio carico e soprattutto il futuro dell’Italia”, spiegava, riferendosi alla richiesta avanzata dalle parti civili il 20 settembre “come risarcimento danni nei confronti dei propri assistiti, sia singoli naufraghi sia associazioni e organizzazioni non governative”. “Io penso che la sentenza di venerdì, più che per Salvini che preferisce essere assolto che condannato a sei anni di galera – concludeva -, sia uno spartiacque per l’Italia“.
Gli alleati di governo – persino Antonio Tajani – gli si stringono intorno. E lo stesso fanno quelli europei. Santiago Abascal, il presidente dei destrorsi spagnoli di Vox, gli ha espresso “totale solidarietà”. Viktor Orban twitta: “Giustizia per Matteo Salvini!”. Anche Elon Musk torna a difenderlo: “E’ assurdo che Salvini venga processato per aver difeso l’Italia”. In ogni caso, condanna o assoluzione che sia, Salvini se la giocherà sul tavolo della politica.
In ogni caso la sentenza avrà ricadute politiche. Se sarà condannato, il ministro dei Trasporti potrà vestire i panni del martire e avviare la gran cassa sovranista al grido: “Vedete? Io volevo difendere l’Italia dall’immigrazione clandestina e i giudici me lo impediscono”, tuonando contro le toghe che mettono in pericolo la democrazia e alimentando quello scontro con la magistratura sul quale il governo di Giorgia Meloni ha imperniato parte della propria azione e della propria narrazione. Se sarà assolto, potrà dire di aver avuto ragione, rafforzerà la sua posizione all’interno del governo e del partito, rivendicherà il successo anche sui tavoli europei e da quel momento per l’Italia chiudere i porti alle navi delle ong risulterà molto più facile.
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