In Russia è considerato un semplice farmaco da banco. Si può acquistare senza ricetta medica, viene usato da decenni. Nel mondo dello sport, il Meldonium – medicinale prodotto dall’azienda farmaceutica lettone Grindeks – è considerata sostanza dopante. Prima l’ex tennista russa Maria Sharapova, ora il calciatore ucraino del Chelsea Mykhailo Mudryk: entrambi sono stati “traditi” dal mildronato, principio attivo del farmaco prodotto negli anni ’70 dallo scienziato lettone Ivar Kalvins e destinato ai soldati sovietici che hanno combattuto in Afghanistan. “Se i soldati dovevano operare in montagna, manca l’ossigeno. Il modo per proteggersi dai danni era usare mildronato. Se dovevano correre 20 chilometri con tutto l’equipaggiamento, alla fine avrebbero rischiato un’ischemia. Per questo lo prendevano, anche se a nessuno veniva chiesto se fosse d’accordo: glielo si dava e basta”, aveva detto proprio Kalvins a Wired. Ecco, dunque spiegata la sua fama di “sostanza dopante”. Il suo utilizzo è stato poi allargato anche allo sport. Usato per trattare ischemie e curare alcune malattie cardiache, il Meldonium aumenta il flusso sanguigno e può migliorare la resistenza e accorciare il tempo di recupero dopo un qualsiasi esercizio fisico. Sempre secondo lo scienziato, però, molti atleti l’avrebbero utilizzato per migliorare non tanto le prestazioni sportive, quanto quelle sessuali.
Che cos’è il Meldonium
“Non è doping, protegge la salute degli sportivi: migliora il flusso sanguigno durante prolungati ed estenuanti esercizi fisici”. Parola proprio dell’ideatore Ivar Kalvins. Nonostante le rassicurazioni dello scienziato, la WADA dal primo gennaio 2016 ha inserito il Meldonium (anti-ischemico che agisce sul metabolismo della carnitina, proteina presente nella carne, aumentando la forza e la resistenza muscolare) nella lista nera delle sostanze proibite perché “aiuta a migliorare la resistenza, accelera i tempi di recupero, attiva la risposta del sistema nervoso centrale e supera meglio lo stress”.
Lo sconto del Tas a Sharapova
A Maria Sharapova, il 2 marzo 2016 (e dunque, due mesi dopo essere stata proibita nel mondo dello sport) era stata contestata la violazione della normativa antidoping: l’ex tennista russa aveva ammesso di aver fatto uso proprio del Meldonium per oltre dieci anni in quanto non consapevole fosse doping. Inizialmente squalificata per 24 mesi – e, dunque, fino al 25 gennaio 2018 come stabilito dall’Itf – il Tas aveva poi ridotto la condanna a un anno e tre mesi. Il Tribunale, oltre a determinare che Sharapova non era pienamente consapevole dei rischi nel prendere Meldonium e oltretutto non aveva mai ricevuto avvisi specifici da Wada o Wta circa l’illegalità della sostanza, aveva creduto alla dimenticanza dell’agente Max Eisenbud. Accusata di aver assunto Meldonium non secondo le regole previste, era stata considerata dal Tas negligente ma non completamente colpevole.
Il caso Mudryk
Da allora il Meldonium era quasi caduto nel dimenticatoio, fino al presunto caso di assunzione involontaria da parte di Mykhailo Mudryk. Sospeso provvisoriamente dalla Football Association – come comunicato dal Chelsea – si ritiene che una potenziale contaminazione possa essere avvenuta all’estero, poiché la sostanza non è disponibile nel Regno Unito. Il 23enne ucraino sta aspettando il risultato di un campione “B” che potrebbe confermare, o meno, quanto risultato nei primi controlli. Lo stesso Mudryk si è reso disponibile a collaborare con i Blues per trovare la soluzione: “È stato uno choc totale perché non ho mai usato consapevolmente sostanze vietate o infranto alcuna regola, e sto lavorando a stretto contatto con il mio team per indagare su come ciò sia potuto accadere”. Attualmente, il numero di atleti positivi al mildronato (rispetto al biennio 2016-2018) è drasticamente ridotto: la Food and Drug Administration, così come le agenzie del farmaco europee, non ne approvano comunque l’utilizzo.
Il retroscena dei Giochi Europei 2015 a Baku
Prima di essere considerata sostanza dopante, quasi 500 atleti erano risultati positivi al Meldonium durante la prima edizione dei Giochi Europei, organizzata a Baku. Dati rivelati, all’epoca, da un’indagine svolta dal British Journal of Sports Medicine: secondo la rivista scientifica specializzata, 13 di questi avevano vinti una medaglia (rispettivamente nel karate, beach-soccer, basket 3×3 e sambo, un’arte marziale russa). Oltre ai vari test, alcuni degli sportivi coinvolti avevano ammesso di aver fatto uso della sostanza: un’inchiesta che convinse la Wada a vietare il medicinale nel mondo dello sport.
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