Chi di obbedienza ferisce, di obbedienza perisce, e Giorgia Meloni non le ha certo mandate a dire dal palco di Atreju, respingendo al mittente l’accusa che gli era stata rivolta da Romano Prodi. Un’accusa velenosa e forse anche un tantino scortese. Le istituzioni, infatti, si dovrebbero onorare sempre, anche quando chi le incarna è politicamente inviso a chi le critica, e per di più se è donna. La galanteria è un’attitudine ormai fuori moda, è vero, ma un predecessore maschio che dà dell’“obbediente” all’attuale Presidente del Consiglio donna non è il massimo del rispetto istituzionale, né di genere. Che esempio diamo ai nostri giovani, professor Prodi?
Ma il punto è un altro, e non riguarda certo la politica estera della Meloni, che non ha bisogno di difese, né di elogi ulteriori dopo quelli prestigiosi ricevuti in questi giorni. Se qui c’è un obbediente fedele e ossequioso, quello è l’establishment della sinistra italiana, costretto, in mancanza di meglio, a rinverdire uno come Prodi. La crescente loquacità del professore bolognese, infatti, è il goffo tentativo di sopperire a una grave mancanza di idee, ma soprattutto di leadership, intesa come impatto sul processo decisionale e sui risultati effettivi derivanti dall’azione politica del più grande partito della sinistra.
La Schlein che doveva far dimenticare definitivamente la centralizzazione democratica del vecchio Pci-Pds-Ds, non ha ancora fatto vedere la tanto attesa “deliberazione pubblica” del Pd, come auspicavano gli analisti più entusiasti. A parte le uscite estemporanee sui singoli temi del giorno, quella della segretaria del Pd non è che una affannosa rincorsa nei riguardi della “potenza” della Meloni, oggi pure certificata a livello internazionale. Da qui l’affidarsi al “patriarcato”, parola abusata a sinistra ma solo quando c’è da offendere gli avversari. E chi è più patriarca di un Romano Prodi?
Con i suoi 85 anni suonati, egli è infatti il padre nobile, l’autorità indiscussa, il vecchio saggio, il maschio più anziano tra i democratici, insomma il patriarca che detta legge, dispensa consigli, attacca i leader avversari. Anche Freud concorderebbe sul potere patriarcale di chi è venerato come padre di tutto, dell’Ulivo, delle (risicate) vittorie su Berlusconi, delle privatizzazioni, il “padre dell’euro”, come lui stesso si autodefinisce sulla sua pagina web, e di tante altre cose. In tanti sono convinti che Prodi sia anche il padre politico della Schlein, che “l’ha vista nascere” e che gli deve l’elezione a segretaria del Pd. Niente di male, ci mancherebbe, ma di molto insolito per la bacchettoneria sinistrorsa.
Si abbia almeno il coraggio di riconoscere che si tratta di una leadership a tutti gli effetti politica, se non addirittura antropologica, in grado comunque di sostituirsi a quella meramente formale del Pd. Una leadership obbedita per l’ossequiosa fedeltà che si deve ai patriarchi.
L'articolo Indietro tutta/1. Se il campo largo senza leadership (e idee) si affida al “patriarca” Prodi sembra essere il primo su Secolo d'Italia.