Lo scorso 8 dicembre La Spezia è balzata agli onori della cronaca con una notizia che ha fatto tremare il mondo della cultura: il sindaco Pierluigi Peracchini annunciava trionfante il ritrovamento di “due pagine della prima edizione della Divina Commedia“. Lo ha fatto con un post sui social che spumeggiava di un’enfasi tale da far pensare che fossero state rinvenute in una grotta sigillata e accompagnate magari da un biglietto ceralaccato da Dante in persona che diceva: “A uso futuro della città di La Spezia che apprezzerà”
Fior di quotidiani nazionali come Repubblica e agenzie di stampa come Ansa si sono buttati a capofitto sulla storia. L’occasione era ghiotta: un ritrovamento del genere è il sogno di ogni giornalista culturale e di un sindaco che da poche settimane aveva candidato la sua città per la Capitale italiana della cultura 2027. Ed ecco titoloni che facevano il giro del web: “Scoperta straordinaria a La Spezia”, “La Commedia ritrovata”, e persino “Dante, perdonaci per averti dimenticato così a lungo”.
Ma c’era un piccolo dettaglio, perché parafrasando Jack Swigert, pilota della sfortunatissima missione lunare Apollo 13, si potrebbe affermare “Houston, abbiamo un problema. Le fonti!” Appena il dì appresso, 9 dicembre, qualcuno ha avuto il coraggio di chiedere: “Ma siamo sicuri?”. Tra i primi a smontare l’entusiasmo è stata la rivista online Finestre sull’Arte, che ha gentilmente ricordato a tutti che quelle famigerate pagine non sono affatto un ritrovamento recente. Anzi, sono arcinote da anni e oggetto di studi approfonditi sin dal… 1890. Sì, avete letto bene. 1890. Dunque, non esattamente una scoperta che lascia senza fiato, a meno che non siate rimasti in letargo negli ultimi 133 anni
Ma quei noiosi passaggi che un tempo facevano del giornalismo una professione basata su rigore e verità, tutti inutili? Evidentemente sì se i ritmi frenetici imposti dai social spingono a pubblicare a velocità della luce per battere sul tempo la concorrenza, anche a costo di riportare notizie che non sono solo vecchie, ma quasi decrepite.
E così al sindaco Peracchini gli è stato tolto il microfono dalle mani con la delicatezza di un elefante in un negozio di cristalli. Ma almeno lui, in fondo, è un politico e l’enfasi fa parte del Dna della politica ma il vero punto è il perché i grandi quotidiani non si sono presi il tempo di verificare. Possibile che la cronaca culturale si sia trasformata in una corsa alla condivisione del comunicato stampa più esaltante senza fare una telefonata a un esperto o, almeno, una rapida ricerca su Google che avrebbe fatto suonare più campanelli di un albero di Natale in pieno centro.
Certo, viviamo in un’epoca in cui il tempo è denaro, e i clic sono valuta preziosa ma non dobbiamo perdere di vista la verità, il bene più prezioso per un giornalismo vero dove il controllo delle fonti è un punto fermo e non un fastidioso ostacolo alla pubblicazione. Così la vicenda del ritrovamento – pardon, non-ritrovamento – delle pagine della Divina Commedia è emblematica di come il sensazionalismo e il desiderio di protagonismo possa giocare brutti scherzi.
Eppure Dante aveva già previsto nell’Inferno del suo poema, Cerchio 8, un paio di versi da dedicare ai “falsatori di parola” e, forse, il sindaco Peracchini un giorno sorriderà di questa vicenda con la stessa enfasi con cui l’ha annunciata. Fino ad allora, però, ricordiamoci che verificare è meglio che esaltare. Sempre.
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