Uonderbois, la nuova serie originale italiana appena uscita in streaming su Disney+, è pronta a riempire le feste di Natale di avventura, magia e folclore partenopeo. Protagonisti cinque ragazzi di 12 anni dalla fervida fantasia, convinti che nella loro città, la Napoli di leggende e colori, si aggiri Uonderboi, un incrocio tra la figura del Munaciello e un moderno Robin Hood, interpretato da Massimiliano Caiazzo.
Dietro questa storia di scugnizzi novelli Goonies, alla ricerca di un misterioso tesoro nella Napoli sotterranea, c’è la creatività di Barbara Petronio, ideatrice, sceneggiatrice e showrunner di Uonderbois. Penna infaticabile, nel suo curriculum ci sono alcune delle serie tv italiane più risonanti degli ultimi anni, diventate successi a livello internazionale, come Suburra, Romanzo criminale e Diavoli. Portano la sua firma anche Distretto di polizia 3 e 4, A casa tutti bene, Tutta colpa di Freud. Soprattutto serialità ma non solo: il suo nome è anche nelle sceneggiature di film come Acab, diretto da Stefano Sollima, e Indivisibili di Edoardo De Angelis, che è valso a Barbara Petronio il David di Donatello per la migliore sceneggiatura originale nel 2017.
Tra le prime showrunner italiane, sceneggiatrice, scrittrice e produttrice esecutiva, è anche fondatrice della casa di produzione e content factory Bullet Point, che crea e sviluppa sceneggiature originali per il mercato italiano e internazionale. L’uscita di Uonderbois è l’occasione per una bella chiacchierata con lei sul mestiere di showrunner e di ideatrice di storie in Italia.
Massimiliano Caiazzo nella serie tv "Uonderbois" (Foto: Giulia Parmigiani)
Ecco la nostra intervista a Barbara Petronio.
Leggende popolari, ragazzini con una fervida fantasia, Napoli… Com’è nata l’idea di Uonderbois?
«È nata nel 2016, dopo un weekend passato a Napoli insieme a Giorgio Romano (che poi è diventato, insieme ad Andrea De Sica, regista della serie). Giorgio è di Napoli e in poco più di 48 ore fece fare a me e a Gabriele (Galli, altro creatore della serie) un giro faticosissimo e bellissimo alla ricerca dei posti più suggestivi della sua città. Il tutto condito dai racconti della sua infanzia e delle leggende napoletane più e meno note. Io e Gabriele torniamo quindi a Roma con un bel bagaglio di informazioni e ci mettiamo a lavorare per scrivere una prima bozza della storia. Ci affascinava l’idea di coniugare un racconto di formazione con i luoghi che avevamo visto e che ci avevano colpito l’immaginazione».
Nel suo curriculum ci sono tante serie tv e progetti dai toni thriller, polizieschi e criminali. Con Uonderbois ora ha potuto attingere a corde diverse? Più alla ricerca dell’avventura e del magico?
«Uonderbois nasce anche dalla voglia che avevamo io e Gabriele di raccontare una storia per bambini e per famiglie. Eravamo da poco diventati genitori (siamo partner nella vita) e ci eravamo resi conto che non c’era ancora in Italia una serie o un film che potesse essere visto da grandi e piccoli con pari soddisfazione e intrattenimento. L’idea di fare un adventure a Napoli ci intrigava tantissimo così come la possibilità di esplorare un genere quasi totalmente dimenticato dal cinema italiano. Siamo cresciuti coi Goonies e Steven Spielberg ed è stato uno spasso creare questa storia con così tanti riferimenti in testa!».
Non è la prima volta che racconta Napoli: penso ad esempio al bellissimo film Indivisibili di cui ha co-scritto la sceneggiatura. Cosa la attrae di questa città?
«Tutto. La bellezza dei luoghi, la gente che li abita, la storia che si respira in ogni angolo. Napoli per me è una città che trasuda energia. Ogni volta che ci vado, torno con un’emozione addosso che faccio fatica a togliermi per svariati giorni. E poi, appena svanisce, mi viene voglia di tornarci!».
Di Uonderbois lei è ideatrice, sceneggiatrice e showrunner. Quanto sente Uonderbois come un figlio che ha appena presentato al mondo?
«Più che figlio e ‘nu vero e proprio criaturo! L’ho ideato, scritto e l’ho anche venduto, facendo io stessa il primo “pitch” a Disney nel 2019. Poi ho suggerito i registi, ho seguito il casting a braccetto con Andrea e sono stata sul set per tutte le riprese, cercando di risolvere problemi quando ce n’era bisogno e dando il mio parere su tutto. Forse è anche per questo che Uonderbois ha un tono e un registro specifico».
“Essere showrunner è uno dei lavori più folli del mondo”, ha detto Francesca Sloane, co-creatrice della serie tv americana Mr. And Mrs. Smith. “Da un lato, scegli letteralmente il colore e la consistenza delle setole dello spazzolino da denti che i tuoi personaggi tengono in mano. E poi, dall'altro, fai chiamate con gli studi sul budget, riscrivi le scene, esamini le chiamate dei casting delle persone importanti che assumerai”. È vero che fare la showrunner è uno dei lavori più folli?
«Se lo dice lei che ha la fortuna di farlo negli USA, figuriamoci cosa posso dire io qui in Italia! Effettivamente la Sloane fa una descrizione esatta di questo ruolo. È sicuramente un lavoro da folli ma quando un’idea ti cresce in testa e diventa una storia che poi verrà girata, per me sarebbe ancora più da folli non provare a farlo. Ognuno ha le sue attitudini e io, fin dai primi passi nel mondo della scrittura per cinema e tv, sentivo l’esigenza di non rimanere confinata alla carta scritta. Ero curiosa di conoscere chi poi le mie battute le avrebbe recitate, chi le mie storie le avrebbe messe in scena e dirette. Credo che sia fondamentale conoscersi e sintonizzarsi con chi poi la carta scritta la farà diventare serie o film perché poi inevitabilmente il prodotto diventa più bello, sotto tutti i punti di vista».
Barbara Petronio (Foto: Barbara Gravelli)
A proposito di America, la figura dello showrunner Oltreoceano è quasi venerata. E in Italia? La sensazione è che resti più sottotraccia…
«Resta molto sottotraccia purtroppo. Io credo di essere una dei pochissimi che si è avventurata su questa strada. Da noi è proprio la scrittura che spesso passa sottotraccia. Sono poche le idee originali e pochi gli sceneggiatori noti al grande pubblico. Eppure quello che io ripeto a me stessa e agli altri è un punto solo: se non ci fosse lo scrittore che un bel giorno si mette davanti al computer e inizia un percorso che, come nel caso di Uonderbois, può durare anni, non ci sarebbe un regista, gli attori e tutto il resto. Questo semplice e innegabile concetto è quello sul quale si è fondata negli USA la convinzione che il creatore/scrittore della storia è depositario del tono e del registro narrativo del racconto. Forse se hanno prodotto serie così belle è anche perché hanno capito questa cosa semplicissima».
Negli States, seppure il lavoro di showrunner veda una più alta presenza maschile, primeggiano anche le donne. Si pensi all’impero di Shonda Rhimes. Da noi è più difficile affermarsi se si è donna?
«Sì, da noi c’è la mentalità “un film di”, “una serie di”, spesso abbinato al nome di un uomo. Io ritengo molto errato questo credit, al di là del genere a cui lo si abbina, perché un film o una serie è sempre il prodotto di più talenti che ci lavorano. Basti pensare a quanto è più bello e meno possessivo il credit “created by”, che appunto risponde all’assoluta verità di una o più menti che per primi creano una storia. Invece con il credit “una serie di” (che si usa solo in Italia) sembra che sia tutto frutto di una persona sola. Pare una sfumatura ma racconta un mondo e io mi riconosco molto più nel “creato da”, che trovo un credit molto più femminile e inclusivo. In più, nella nostra industria audiovisiva, il talento è storicamente abbinato agli uomini e molto meno alle donne. C’è tanto da fare, anche se negli ultimi anni qualcosa si è mosso, ma quanto in più dobbiamo penare noi donne per vederci riconosciuti un ruolo e una responsabilità artistica».
Ho letto che la passione per la scrittura televisiva le è nata vedendo la mitica serie tv Twin Peaks. Ci può raccontare?
«E sì, nasce proprio dalla visione di quella mitica serie che ancora oggi non sente il passare degli anni. Mi ricordo la maratona notturna su Rete 4 a casa di un’amica ai tempi del liceo. Come spettatrice rimasi immediatamente folgorata e da allora ho sempre desiderato scrivere. Univa in una sola storia tre generi che amo: il thriller, il supernatural e il giallo con adolescenti. Tuttora qui in Italia ancora mai abbinati in una serie».
Da appassionata di film e di cinema, ho l’impressione che la scrittura per la serialità sia più “furba” e calcolata, “meno sincera”: alla ricerca dell’effetto a sorpresa o dell’ellissi che tenga incollati dalla fine di un episodio all’altro o di una stagione all’altra. Lasciando in sospeso… Che ne pensa?
«Per me la sincerità dipende sempre dalla penna di chi scrive. È vero che però spesso, per non dire sempre, i broadcaster cercano l’utilizzo degli stessi codici narrativi convinti che il pubblico li riconosca e li apprezzi. Forse la verità è che non ci sono regole da applicare in maniera rigida. Va sempre valutato caso per caso e soprattutto va tenuto presente che ogni singola storia ha la sua specificità. A volte serve “lasciare in sospeso” lo spettatore, a volte no. Parliamo sempre di intrattenimento quindi l’obiettivo lo dice la parola stessa: intrattenere, agganciare e far divertire nel senso etimologico di rivolgersi altrove».
Distretto di polizia, Romanzo criminale - La serie, Suburra - La serie, Tutta colpa di Freud - La serie, Diavoli… Tra i vari progetti alle spalle, quale porta più nel cuore e perché?
«Romanzo Criminale, per quanto eravamo liberi di scrivere, e Uonderbois perché è “proprio ‘nu bello criatur’”».
Progetti futuri? Magari c’è già in mente un Uonderbois 2?
«Sto sviluppando con la mia neo nata società di produzione Bullet Point diversi progetti ancora in fase di scrittura. Un legal drama e un thriller (chissà se riesco a metterci un po’ di supernatural!) sono quelli più in fase avanzata con un broadcaster. Magari Uonderbois 2… sarebbe un immenso piacere pensare una nuova avventura per questi fantastici uaglioni!».