Bisogna entrare in questo ordine di idee: più si scava attorno a Porto Vecchio, più i resti del suo passato austroungarico emergeranno dal sottosuolo per accompagnarne il progressivo recupero. Perciò gli archeologi non si sono fatti cogliere dallo stupore quando, alcuni giorni fa, hanno visto spuntare in viale Miramare il basamento in pietra di un’antica batteria di cannoni. È la batteria della Musella, frammento di vita settecentesca che sta rallentando il progetto Smart Grid di AcegasApsAmga, nel tratto compreso fra Roiano e l’antico scalo.
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Per quanto il ritrovamento fosse previsto dagli esperti, si tratta ugualmente di una importante testimonianza, di fronte alla quale anche la fretta dettata dal Pnrr deve cedere il passo. La batteria della Musella è ricomparsa a pochi metri dal cavalcavia di viale Miramare, proprio davanti alla fermata dell’autobus, dove sta appunto procedendo il cantiere Smart Grid. Quest’ultimo consiste nel potenziamento della fornitura elettrica cittadina e consentirà, fra le altre cose, l’allacciamento alla rete del Porto Vecchio e dei terminal portuali da elettrificare, grazie a 18 milioni di euro messi in campo dall’Unione europea.
Nel quadro generale dei lavori di Smart Grid, è incluso anche il tratto tra Roiano e il cavalcavia di viale Miramare, con conclusione del lotto inizialmente fissata a gennaio 2025. Adesso però operai e mezzi sono fermi: la Soprintendenza attende l’autorizzazione da parte della multiutility per compiere le sue rilevazioni sulla batteria settecentesca, concluse le quali il reperto verrà coperto e il cantiere potrà così riprendere. AcegasApsAmga non sa ancora stimare la portata del ritardo (qualche settimana, forse un mese), ma in ogni caso la scadenza imposta dall’Ue a giugno 2026 rimane lontana.
Al di là dei rilievi documentali che verranno compiuti in questi giorni, sulla batteria della Musella gli archeologi hanno già in mano numerose informazioni. «Risale ai primi anni del Settecento», spiega il funzionario della Soprintendenza Roberto Micheli, ricordando come la prima mappa che ne rechi traccia è del 1718, un anno prima della fondazione del Porto franco. La Musella faceva parte del più ampio sistema militare difensivo del porto triestino, costruito a partire dal XVIII secolo parallelamente alla crescita economica della città.
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Per immaginarne grossomodo la fisionomia, va tenuto in conto che all’epoca la linea di costa era molto più arretrata rispetto a oggi, coincidendo in sostanza con viale Miramare. Dunque la Musella e i suoi cannoni erano posti su una specie di promontorio naturale, perfetto per presidiare le navi in arrivo. Il sistema difensivo si estendeva per decine di metri e comprendeva all’estremo opposto, più o meno all’altezza del parcheggio di largo a Roiano, un’altra batteria di cannoni di dimensioni maggiori, intitolata a San Pietro.
Entrambe, la Musella e San Pietro, verranno assorbite nel 1769 nel grande Lazzaretto di Santa Teresa, che andrà a ospitare in quarantena marinai e merci sospettati di malattie contagiose, occupando una superficie enorme (la struttura comprendeva magazzini e ambienti ospedalieri, ma anche una chiesa e un cimitero). «Con il nuovo Lazzaretto le due batterie di cannoni, collegate da una strada litoranea, non avevano più necessità di esistere», osserva sempre Micheli. Fra le tante parti di cui si componeva il Lazzaretto, vi era infatti anche un molo, a sua volta dotato di cannoni e di un sistema difensivo completamente aggiornato.
Insomma, la batteria della Musella reca traccia di una parentesi di circa settant’anni, rimasta sepolta sotto viale Miramare. La parte più visibile, anche da chi cammina nei paraggi, è il basamento in pietra del terrazzo su cui poggiavano i cannoni. Su di esso verranno ora compiute delle specifiche analisi, a scopi puramente conoscitivi. Dice ancora Micheli: «Abbiamo stabilito assieme ad AcegasApsAmga come procedere. Sappiamo che la struttura è lì e non si può pensare di aggirarla, perciò verrà documentata, messa in sicurezza e coperta».
Un frammento della batteria della Musella, per quanto di dimensioni inferiori, era stato scoperto casualmente nel 2014, sempre nel corso di lavori Acegas. Vi è in questi casi un elemento di novità, rispetto agli altri rinvenimenti recenti nell’area di Porto Vecchio: a differenza del già citato molo del Lazzaretto, una parte del quale è venuta alla luce la scorsa primavera, essi afferiscono al primo periodo di sviluppo della Trieste asburgica, anteriore a Maria Teresa e al suo riformismo. Pur rimanendo nell’ambito dell’archeologia moderna, la scoperta è quindi la più “antica” fra quelle fatte finora nel contesto degli ex magazzini.
Le mappe settecentesche del resto lo indicano con chiarezza. Mappe che agevolano non poco il lavoro degli archeologi, se comparato a quanto accade, ad esempio, con l’altrettanto ricca eredità romana di Tergeste. È invece sufficiente sovrapporre l’antica cartografia per destreggiarsi nel passato di Porto Vecchio, anticipando eventuali punti sensibili della sua riqualificazione e intervenendo poi con celerità.