Seguo da sempre il lavoro di Pedro Almodóvar e ogni volta ha dimostrato un talento unico nell’intrecciare emozioni complesse con narrazioni viscerali. Con The Room Next Door, il regista spagnolo compie un salto coraggioso, firmando il suo primo film interamente girato in lingua inglese. Un’opera che, pur conservando il suo inconfondibile tratto autoriale, esplora nuove coordinate: un’America inizialmente urbana, per poi immergersi nella quiete dei boschi del New England.
Ispirato al romanzo Attraverso la vita di Sigrid Nunez, il film narra il legame tra Martha e Ingrid, interpretate con straordinaria intensità da Tilda Swinton e Julianne Moore. Le due donne, unite da un’amicizia di lunga data ma incrinata da incomprensioni passate, si ritrovano in un momento cruciale delle loro vite. Martha, malata terminale, ha preso una decisione irrevocabile: porre fine alla sua vita tramite il suicidio assistito. Chiede a Ingrid di accompagnarla, trasformando il loro rapporto in un nodo indissolubile di amore, paura e accettazione.
La casa nel bosco del New England, immersa nei colori primaverili e nei silenzi profondi, diventa uno spazio di confronto intimo. Qui, le due donne affrontano le loro paure più recondite e riscoprono il valore del loro legame.
Il titolo, The Room Next Door, rappresenta una chiave di lettura fondamentale. La traduzione italiana, “La stanza accanto”, smorza in parte il significato evocativo legato alla “porta”, simbolo di passaggio e trasformazione. La porta diventa il confine tra il noto e l’ignoto, tra ciò che si lascia alle spalle e ciò che si sceglie di attraversare. Almodóvar ci invita a riflettere su cosa significhi varcare quella soglia nelle scelte più difficili e autentiche della vita.
Il tema del suicidio assistito è affrontato con una delicatezza disarmante. Martha, con lucidità e determinazione, ha acquistato nel dark web una pillola per porre fine alla sua vita con dignità. La narrazione non giudica, ma apre uno spazio di riflessione: la sua scelta non è una resa, bensì un atto di autodeterminazione che sfida la retorica sulla morte. Ingrid, inizialmente esitante, intraprende un percorso emotivo altrettanto profondo, accettando di essere al fianco dell’amica nel momento più vulnerabile.
L’ambientazione nei boschi del New England segna una rivoluzione estetica per Almodóvar, che si allontana dalle sue amate atmosfere urbane e mediterranee. Eppure, anche qui, il regista trova un linguaggio visivo capace di amplificare il vissuto interiore dei personaggi. La natura diventa testimone silenziosa delle loro scelte, specchio dell’introspezione e della riconciliazione. Gli interni della casa, arredati con cura e impreziositi da un quadro di Edward Hopper, e le riprese che catturano la luce filtrata tra gli alberi, creano un’intimità palpabile, quasi sacrale.
Il cuore del film è l’amicizia tra Martha e Ingrid: non idealizzata, ma autentica, costruita su fragilità e ritrovamenti. Il gesto di Martha, che chiede a Ingrid di accompagnarla nell’ultimo viaggio, è un atto di fiducia assoluta.
Con The Room Next Door, Almodóvar ci consegna un’opera al tempo stesso intima e universale. Si interroga su cosa significhi vivere pienamente e come i legami più profondi possano darci il coraggio di affrontare l’ignoto. Non è solo una riflessione sulla morte, ma un’ode alla vita e alle scelte che la definiscono.
Questo film, con la sua sensibilità e profondità, conferma ancora una volta la maestria di Almodóvar nel raccontare storie universali che toccano l’anima. E voi, cosa ne pensate? Avete visto il film?
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