La Francia si trova sull’orlo di un terremoto politico. Michel Barnier, alla guida del governo da appena tre mesi, si trova a fronteggiare non una, ma ben due mozioni di censura: una partita dalla sinistra, l’altra dalla destra di Marine Le Pen. Sullo sfondo, una manovra finanziaria che ha già fatto discutere per l’uso, da parte del governo, del controverso articolo 49.3 della Costituzione. L’abuso di questo escamotage politico per far passare una legge senza il voto parlamentare è già stato contestato più volte in quest’epoca macroniana. Eppure, il punto non è solo questo, il vero bersaglio è Macron.
Barnier, politico di lungo corso e volto della moderazione, non sembra però aver giocato d’austuzia questa volta. Se non troverà una quadra con Marine nella notte, il primo ministro rischierà di saltare. «La situazione è difficile sul piano del bilancio, sul piano finanziario e molto difficile sul piano economici e sociale», ha avvertito Barnier oggi davanti l’Assemblea Nazionale , avvertendo che una censura «renderà tutto più difficile e più grave». «Non credevo che avrebbe osato», avrebbe confidato lontano da occhi indiscreti, riferendosi alla Le Pen. La posta in gioco resta alta: il dibattito sul bilancio ha catalizzato tensioni che da mesi attraversano la politica francese, ma che decideranno i posizionamenti dei partiti alle prossime presidenziali.
Non a caso, Marine Le Pen, leader indiscussa del Rassemblement National, ha orchestrato una strategia audace: sostenere entrambe le mozioni di censura, inclusa quella della sinistra, pur senza stringere alleanze formali. «Una mozione di censura non è una coalizione né un accordo politico», ha puntualizzato su X a chi con«manovre di fumo e di disinformazione denuncia una presunta collusione tra Rn e Lfi (Ndr la sinistra radicale guidata da Jean-Luc Mélenchon)».
Ricordare che «l’unica alleanza a gettare la Francia nel caos è stata quella tra i due turni delle elezioni legislative, dove i macronisti e l’estrema sinistra, mano nella mano», ha messo in chiaro Marine. La leader sa bene che quali colpi scagliare contro i suoi avversari. «Quando si presenta una censura e si vuole che sia votata, si evitano insulti a chi potrebbe sostenerla» ha risposto a tono ai deputati del Nouveau Front Populaire, che nel loro testo avevano accusato il governo di «compiacenza con l’estrema destra».
L’atmosfera è tesa. A margine della sua visita in Arabia Saudita, Emmanuel Macron ha liquidato le richieste di dimissioni come «fiction politica», assicurando di non aver mai pensato di lasciare l’Eliseo prima del 2027. Si dice stupito, sottolineando al contempo di riporre «fiducia nella coerenza delle persone» e che la sua «priorità è la stabilità». Cosa che non si direbbe visto i suoi alti e bassi degli ultimi mesi, ma tralasciamo. La sua instabilità emerge infatti poco dopo quando definisce il partito lepenista «insopportabilmente cinico» e il partito socialista, e in particolare l’ex presidente François Hollande, soggetto a una «totale perdita di orientamento». Per macron il normale funzionamento del sistema parlamentare è volto a «spaventare la gente».
Il terremoto che scuote i pilastri della Quinta Repubblica
La possibilità di una censura non è un mero esercizio di giornata. Se il governo Barnier dovesse cadere, si profilerebbe un evento senza precedenti dal 1962, quando Georges Pompidou fu costretto a dimettersi, portando a sciogliere l’Assemblea. Un paragone che sottolinea la gravità della situazione, ma anche le ambizioni di Le Pen, sempre più proiettata verso una strategia che mira a imporsi come padrona del gioco.
Il voto è atteso per domani, e la Francia guarda con ansia all’esito di una giornata che potrebbe segnare un punto di svolta o tagliare qualche testa.
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