Nel mondo si vive un generale rallentamento del percorso (necessario, non c’è altra strada percorribile) verso il Net Zero. Con notevoli differenze rispetto ad aree geografiche ed economiche: se Europa e Italia fanno il loro dovere e diminuiscono le emissioni climalteranti di CO2 e di metano, il resto del pianeta è molto meno virtuoso. Tanto è vero che le emissioni di CO2 hanno raggiunto un nuovo record di 37,4 Gt nel 2023. Va detto che continua a mancare, e va invece favorita, una comprensione profonda della natura fisica, materiale, sistemica della transizione cui è chiamato il Pianeta. Si tratta di una rivoluzione industriale ad altissima intensità di capitale, strettamente dipendente da enormi interventi infrastrutturali e legata a profonde conversioni dei modi di vita e di lavoro di città, aziende, persone. Chiama in causa chi produce l’energia, chi la trasporta, chi la consuma (e quanta ne consuma e per produrre e fare cosa). Solo per il comparto energy significa convertire 60 mila impianti per la produzione o il trattamento dell’energia. Le nostre economie sono ancora oggi incardinate su materiali come acciaio, cemento, plastiche: non possono sparire o essere sostituiti in un battito di ciglia. McKinsey stima che vanno affrontati 12 cambiamenti sistemici complessi, dai quali dipende il 50% delle emissioni globali di CO2. Il ritardo generale ha qualche giustificazione. Forse alcuni obiettivi, decisi in alto, sono troppo sfidanti, fuori dalla realtà, soprattutto con la crisi energetica che ha ridefinito le priorità. Poi il mondo è cambiato: il Green Deal europeo era stato programmato nel “lontano” 2019: prima della pandemia e della guerra scatenata dalla Russia in Ucraina. A che punto siamo? Risponde McKinsey: fatto 100 il percorso che dobbiamo compiere a livello globale, a oggi siamo arrivati a 10. Poco, ma è bastato per toccare equilibri sociali ed economici. Si immagini cosa potrebbe succedere se affrontassimo in modo poco accorto il restante 90% della transizione.
Un Gruppo in controtendenza
Il contesto in cui opera Snam lo abbiamo, a grandi linee, descritto: lasciamo agli esperti di scenari geo-economici lo studio nel dettaglio. Snam è il primo operatore europeo nel trasporto del gas naturale con una rete, in Italia e all’estero, di circa 38.000 km. L’azienda opera anche nello stoccaggio, di cui detiene approssimativamente il 20% della capacità a livello europeo, e nella rigassificazione, con una capacità annua di 13,5 miliardi di metri cubi di gas: saliranno a 18,5 miliardi di metri cubi nel 2025 per l’entrata in esercizio del rigassificatore di Ravenna. Ebbene, un Gruppo così è in controtendenza rispetto ai rallentamenti sopradetti. La strada della transizione l’ha imboccata da tempo e sono agli atti risultati importanti. Nella riduzione delle emissioni climalteranti, oltre che nello sviluppo di un sistema infrastrutturale multi-molecola, capace di trasportare e stoccare non solo gas naturale, ma molecole verdi come il biometano e – in prospettiva – l’idrogeno. Snam è inoltre impegnata nel settore dell’efficienza energetica, al servizio di imprese, pubblica amministrazione e condomìni. E di recente ha inoltre presentato un vero e proprio Transition Plan, roadmap pragmatica e al contempo visionaria, attenta anche a natura e biodiversità.
Venier: coraggio degli obiettivi, concretezza delle azioni
Dice l’amministratore delegato del Gruppo, Stefano Venier: “La transizione è un processo complesso e onnicomprensivo ed esige un’accorta pianificazione. In Snam lo abbiamo declinato con il Transition Plan, a coronamento di un percorso storico sulla sostenibilità entrato anche nel nostro Statuto. Puntiamo al Net Zero su tutte le emissioni entro 2050, e il 2024 ci farà fare un importante passo in avanti. Lavoriamo poi per promuovere la biodiversità, facendo leva sugli oltre 700 cantieri Snam aperti nel Paese. Gli scenari del Transition Plan sottolineano la resilienza dei nostri asset, capaci di trasportare e stoccare anche molecole verdi e CO2 . Il gas è un vero e proprio vettore di transizione: accelera la dismissione del carbone, assicura l’energia necessaria e accompagna lo sviluppo delle rinnovabili, mitigando gli effetti della loro intermittenza”. E Venier prosegue: “Per centrare il Net Zero occorre una sorta di pragmatismo visionario, che coniughi il coraggio degli obiettivi alla concretezza delle azioni. Ecco perché in Snam facciamo massa critica su quelle che incidono davvero. Poi occorrono condivisione e coinvolgimento, perché il Net Zero o è di tutti – Paesi in via di sviluppo inclusi - o non è di nessuno. Fondamentale è anche la trasparenza nella rendicontazione, per catalizzare la fiducia del sistema, essenziale per arrivare a meta”. Gli obiettivi fondamentali del Gruppo, dunque, sono la carbon neutrality sulle proprie emissioni dirette entro il 2040 e il Net Zero su tutte le emissioni (fornitori e associate inclusi) entro il 2050. E in aggiunta l’impatto positivo (Net Positive Impact) sugli ecosistemi attraversati dalle proprie opere già dal 2027. I punti salienti del Transition Plan, minuziosamente descritti, occupano stampati un centinaio di pagine. Una sorta di libro del futuro più verde e sostenibile, valida guida per team di comando e dirigenti, ma anche di normali dipendenti. Il Gruppo investe risorse per andare sempre più avanti verso un’economia a bassa intensità di carbonio, per la decarbonizzazione delle proprie attività e del Sistema Paese, nonché per la tutela del territorio, della natura e della biodiversità. Si tratta di una roadmap solida - con target a breve, medio e lungo periodo - e al contempo flessibile, nata per essere aggiornata ogni due o tre anni. Per fare il punto sui risultati raggiunti e riorientare la strategia, in accordo con lo sviluppo tecnologico.
26 miliardi per la transizione e la sicurezza energetica
Qualcuno dirà: ma con quali risorse? Dal 2023 al 2032 sono previsti 26 miliardi di euro in investimenti (in transizione e sicurezza energetica, precondizione irrinunciabile). Così divisi: 11,5 mld per il piano 2023-2027 e 14,5 mld per il piano 2028-2032. Rispetto agli 11,5 mld compresi tra il 2023 e il 2027, 4,3 sono allineati alla Tassonomia Europea e 7,1 agli SDGs dell’ONU. Fra i progetti infrastrutturali di maggior impatto si segnalano: il SoutH2 Corridor, corridoio di 3.300 km (derivante per il 60% dal riutilizzo di condotte esistenti) per il trasporto dell’idrogeno verde prodotto in Nord Africa verso Italia, Austria e Germania. Realizzato insieme ad altri TSO europei (aziende omologhe di Snam), sarà operativo dal 2030 e potrà coprire fino al 40% dell’intero target europeo di importazione di idrogeno verde; Ravenna CCS (Carbon Capture and Storage), progetto realizzato in joint venture con Eni di cui è partita a settembre la fase 1: prevede cattura e stoccaggio della CO2 nei giacimenti esauriti di gas situati nelle acque antistanti Ravenna. Ha l’obiettivo di decarbonizzare i processi produttivi delle industrie energivore (cementifici, ceramica, vetro, fonderie ecc.) che non possono essere elettrificati. Si candida a diventare il polo CCS di riferimento per l’area del Mediterraneo. La roadmap riporta le attese in riduzione delle emissioni di CO2 del 20% nel 2024 rispetto al 2022 (erano del 10% l’anno scorso), e indica le prossime tappe. Ossia una riduzione del 25% al 2027, -40% al 2030, -50% al 2032. Previsti interventi di efficientamento ed elettrificazione per l’alimentazione delle centrali di spinta del gas, che assorbono la maggior parte dei consumi di Snam. Per le emissioni di metano, già ridotte del 57,5% nel 2023 sul 2015 (risultato che è valso la quarta riconferma consecutiva del Gold Standard di Unep), si arriverà a -72% al 2030 (e ricordiamo che attualmente il gas disperso è poca cosa, non supera lo 0,03% di quello immesso in rete). Il tutto grazie soprattutto a progetti, altamente tecnologici, per individuare, monitorare e contenere le cosiddette “emissioni fuggitive”.
Migliorare gli ecosistemi
Ma il Gruppo è impegnato in prima linea sul fronte della “biodiversity strategy”, che significa non solo impatto zero sugli ecosistemi attraversati da lavori dell’azienda, ma impatto positivo (net positive impact), migliorandoli, a partire dal 2027. È infatti necessario, è la convinzione di Snam, uscire dalla “carbon tunnel vision”, dall’idea che sia sufficiente occuparsi della sola, ancorché importante, riduzione delle emissioni climalteranti. Prima azienda a livello globale esclusivamente dedicata al business delle infrastrutture ad aderire al nuovo Corporate Engagement Program di SBTN (Science Based Targets for Nature), Snam ha messo la propria capillare presenza sul territorio nazionale al servizio dei suoi ecosistemi. I cantieri stanno così diventando presidi dell’equilibrio idrogeologico, faunistico e vegetazionale del Paese.
L’importanza della finanza sostenibile
Nel 2020 era al 40% del funding di Snam, nel 2023 all’80% e ha oggi raggiunto l’84%, soglia prossima all’obiettivo dell’85% per il 2027. Già oggi, il 50% del funding è legato a obiettivi di riduzione delle emissioni, impegnando Snam a fare sul serio. Altro fulcro è l’innovazione trasformativa: Snam ha digitalizzato tutti i propri asset e fa ampio ricorso all’intelligenza artificiale e alla sensoristica, puntando non soltanto sull’innovazione consolidata (proven innovation) ma anche sull’open innovation: dal 2021, Snam ha generato oltre 300 idee e ha esaminato più di 2.500 start-up, finanziando progetti come la cattura, l’utilizzo e lo stoccaggio della CO2 biogenica. Il Transition Plan è un grande impegno: è la guida di un’azienda moderna che deve guardare avanti, con forza e fiducia.