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San Casciano: Emanuele Mariotti racconta sorprese dell’ultimo scavo

di Luisa Marini

Fin dall’incredibile ritrovamento del 2022, tutti seguono le notizie sullo scavo di San Casciano dei Bagni incontriamo il direttore dello scavo Emanuele Mariotti, nell’imminenza della presentazione dei risultati dell’ultimo scavo..

Emanuele, durante tutta l’estate abbiamo seguito sui social gli sviluppi del lavoro sul cantiere, e poi il diario di scavo raccontato insieme ai giovani studenti nella serata del 2 agosto, in cui non avete potuto far ancora trapelare nulla. Puoi dirci com’è andato lo scavo di quest’anno?

Lo scavo è andato molto bene, a livello della campagna del 2022, se non di più… (gli brillano gli occhi e sorride). Ma non posso dirti molto altro ora, perché al momento siamo ancora legati alla riservatezza, aspettiamo che il Ministero della Cultura faccia uscire il comunicato stampa ufficiale.

Lo comprendo. Parlami di quello che puoi.

Partiamo dal concetto che uno scavo archeologico è soprattutto fatica, polvere e sudore, e dire che facciamo scoperte non è corretto; la terra è come un libro che ci racconta una storia, e anche non trovare niente è un dato. Su uno scavo entrano in gioco tutte le materie scientifiche e lo sviluppo della tecnologia è di aiuto, come ad esempio il remote sensing, ossia le indagini senza scavo, le immagini satellitari, la geofisica. A San Casciano c’è tutto questo. Il direttore scientifico Jacopo Tabolli, riguardo a questo cantiere, lo definisce “scavo diseducativo” perché, oltre alle usuali classi di materiali, abbiamo ritrovato tanti manufatti straordinari per livello conservativo, alcuni unici nel mondo etrusco-romano, come il poli-viscerale in bronzo, uno dei frutti della scorsa campagna di scavo. Questi studenti probabilmente in tutta la vita non si troveranno mai più in una situazione simile.

Quali dati avete raccolto per la conoscenza del l’area?

Oggi abbiamo aumentato la conoscenza del luogo e abbiamo un quadro più chiaro. Nel 2022 avevamo sondato solo il primo strato, ora siamo andati più a fondo e ci siamo anche spostati. In questo luogo, nel tempo ci sono state tante sovrapposizioni, manutenzioni e rimaneggiamenti continui. Nelle parti esterne del sito, abbiamo trovato anche ampolle di vetro, parti di statue fittili, ceramiche anche intere. Abbiamo creato una mappa con le architetture visibili. È il contesto la cosa importante, perché ci racconta una storia: l’oggetto che troviamo all’interno di esso lo è meno, ma è significativo perché ci dà informazioni sulle relazioni all’interno del contesto. Parliamo di cultura materiale: è come leggere un libro al contrario, gli strati di terra sono le pagine, che qui però oltretutto sono bagnate, e mischiate. Nel centro della vasca sacra, il cuore dello scavo, abbiamo trovato altri livelli di depositi votivi; finora abbiamo saggiato i 2/3 della vasca, ma c’è sicuramente altro da ritrovare. Quest’anno abbiamo trovato ancora altri ex-voto, iscrizioni, manufatti, molte monete…

So che ne avete trovate oltre 9.000, e che il team di numismatica dell’Università di Salerno ne sta portando avanti lo studio e la schedatura.

Esatto. Non sappiamo se fossero offerte propiziatorie o pagamenti ai medici che erano presenti sul sito. Tutti i doni, in ogni caso, erano legati soprattutto alla salute, e alla protezione, chiesta e ottenuta – lo sappiamo dalle iscrizioni sugli ex voto col nome del committente – ma anche a maledizioni e promesse di matrimonio; quindi, ci riferiamo alla dimensione del sacro legate alle acque. Qui l’umano e il divino, l’antropologia e la religione, hanno avuto un rapporto particolarmente stretto.

Colpisce il fatto che, con questi doni, in particolare le statue e le parti del corpo, qui ci fosse l’esposizione della sofferenza, al di là delle classi sociali.

Sì, le offerte arrivavano sia dai ricchi che dai poveri, e avevano pesi e misure precise. Il bronzo era prezioso, e l’importanza del personaggio si intuisce dalla grandezza dell’offerta. Data ai sacerdoti, costituiva un contatto, seppur mediato, col divino. Le offerte potevano essere anche vegetali: abbiamo trovato pigne, rametti, tronchetti tutti delle stesse dimensioni, anche in forme d’argilla. Molto particolare è il ritrovamento di uova, intere e spezzate, simboli della rinascita che arrivava dalle acque termali di questo sito, ma anche segno di volontà di nutrire le acque stesse per il loro potere rigenerativo.

Come è iniziato lo scavo, e come è stato organizzato?

Aldilà del clamore e della retorica della scoperta, San Casciano non è un caso, è frutto di uno studio iniziato nel 2019, e della testardaggine nel volerlo approfondire. Nel 2020 eravamo solo in due, poi il Comune ci ha affiancati e sostenuti: l’amministrazione locale è concessionaria dello scavo, voluto dall’ex Sindaco Paolo Morelli e poi sostenuto dall’attuale Sindaca Agnese Carletti. Lo scavo è organizzato per settori, con uno-due responsabili di area e gli studenti. Si tratta di un lavoro di squadra. Io sono il Direttore di scavo e organizzo le strategie sul campo, il Prof. Jacopo Tabolli è il coordinatore scientifico e la Dottoressa Ada Salvi è la funzionaria archeologa della Soprintendenza di Siena-Grosseto-Arezzo che ci segue. Siamo arrivati a essere in totale 90 persone su vari turni: 35 fissi per 4 mesi, e ogni 3 settimane gli studenti, che arrivano da tutto il mondo. L’antica dimensione plurilinguistica e multiculturale del luogo si è così ricreata, e porta ricchezza al paese, che ogni estate li attende e accoglie.

Di recente, il documentario “Come un fulmine nell’acqua” (realizzato da RAI Cultura in collaborazione con il Ministero della Cultura) ha vinto il Premio sezione “Cinema archeologico” al RAM film festival. Da esso traspare evidente l’emozione dei ritrovamenti. Ce ne puoi parlare?

Si tratta di qualcosa di indescrivibile. Penso si veda bene nel documentario. Soprattutto, a me personalmente è rimasto impresso il momento del ritrovamento dell’iscrizione a Iside: mi sono messo a gridare, non ci potevo credere.

Si tratta di uno scavo particolare, nel fango, sotto il getto continuo delle acque termali. Nello stesso documentario, mi ha colpito il momento in cui una collaboratrice parla dell’uso del tatto durante lo scavo, del sentire gli oggetti con le mani.

Sì, qui abbiamo dovuto sviluppare in questo modo la familiarità con un ambiente particolare. Quest’anno sono riuscito a ridurre almeno il flusso dell’acqua con una piccola diga, per migliorare le condizioni di lavoro nella vasca grande. Lavoriamo, come detto, soprattutto con la lettura degli strati, e talvolta, ma solo per aiutarci, usiamo il metal detector. Dobbiamo distinguere con le mani, sentendo la diversa consistenza delle argille e dei materiali: è una sensazione nuova, sempre con la necessità di interpretazione. Tocchi qualcosa che non ti aspetti. Si va per fasi: intravediamo, localizziamo, dreniamo l’acqua, asportiamo gli oggetti. Poi, la documentazione delle azioni è la fase più importante.

Qual è stata la tua esperienza prima di San Casciano?

Con l’Università di Siena ho lavorato in Italia dalla metà degli anni ‘90 e mi sono specializzato in Archeologia delle Province romane con il Prof. Emanuele Papi, che è l’attuale Direttore della Scuola archeologica italiana di Atene. Poi per un decennio ho lavorato in tutto il Mediterraneo, dal Marocco al Medioriente, con istituzioni italiane e straniere, approfondendo la topografia e la geofisica, fino al 2019. Dal 2011 faccio parte di una cooperativa. Il Comune di San Casciano dei Bagni mi contattò nel 2017/2018 per eseguire alcune prospezioni geofisiche; nel frattempo Jacopo Tabolli era diventato Soprintendente, e sviluppò un progetto di recupero del paesaggio termale del Bagno Grande, al quale venni chiamato a partecipare.

E l’esperienza “dopo” San Casciano?

Studio e pubblico con l’Università per Stranieri di Siena, e ho un nuovo progetto per la Magna Grecia.

Perché hai scelto Archeologia?

Per puro caso. Dopo il liceo scientifico, mi ero iscritto a Lettere classiche. O meglio, è stata una scelta d’istinto: per il legame stretto con la terra.

Cosa consigli agli studenti di Archeologia?

Fate tanta pratica, ossia lavoro sul campo: mettetevi in gioco, è importante studiare ma anche saper fare. Fate più esperienze possibili e pubblicate.

Dopo la chiusura dello scavo di quest’anno, quali saranno i prossimi passi?

Stiamo studiando le evidenze raccolte, la documentazione è la fase più impegnativa; l’esito dello studio sarà presentato nel Convegno annuale, e a fine primavera prossima uscirà il nuovo libro, il terzo della serie del Santuario ritrovato, scritto insieme a Tabolli e Salvi.

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