Il 22 novembre scorso una pessima notizia per la Nazionale italiana di sci alpino maschile: l’infortunio di Tommaso Sala. Alla vigilia dell’appuntamento di Coppa del Mondo a Gurgl, in Austria, il 29enne valtellinese, mentre si allenava in Val Senales in preparazione al secondo slalom della stagione, è stato costretto a fare i conti con il cedimento del suo ginocchio sinistro.
Il responso è stato complicato da accettare: rottura del legamento crociato. Operato pochi giorni fa, Tommaso si è visto costretto a rinunciare all’intera stagione agonistica e a riprogrammare il tutto per la prossima che avrà come culmine la rassegna a Cinque Cerchi di Milano Cortina 2026. Ne ha parlato lo sciatore italiano, ospite dell’ultima puntata di “Salotto Bianco“, format di qualità e competenza curato e presentato da Dario Puppo e Massimiliano Ambesi di Eurosport, in onda sul canale Youtube di OA Sport.
DESCRIZIONE DELL’INFORTUNIO E TEMPI DI RECUPERO – “È stato un infortunio molto particolare. Non c’è stata una vera e propria caduta, ma un cedimento strutturale all’interno del ginocchio. Io ho fatto vedere il video a tre chirurghi differenti e tutti mi hanno detto la stessa cosa: non c’è rinforzo muscolare, prevenzione e fisioterapia che tenga, in quegli angoli il ginocchio parte. Questo è un peccato perché ero all’inizio della stagione ed ero pronto. Non avere la possibilità di esprimere tutto il lavoro che abbiamo fatto, è stato un po’ pesante all’inizio da digerire. Ora ne ho preso consapevolezza. Comunque, il trauma è stato di tipo distorsivo dove ho rotto il legamento crociato anteriore, menisco, collaterale esterno, popliteo e un piccolo legamento che tiene la testa del perone. L’operazione è andata molto bene, il chirurgo era fiducioso e faccio i complimenti a chi fa quel lavoro. I tempi di riatletizzazione sono sui sei mesi minimo, prima di mettere gli sci. Ai tre mesi ci sarà una risonanza di controllo nella quale si valuterà in che stato sono i legamenti e la guarigione ossea, perché c’è stato un buco per innestare il tutto. E lì sì capirà se si può accelerare con il recupero oppure se servirà attenersi alla tabella di marcia. Penso che metterò gli sci a giugno 2025 e poi farò la preparazione canonica in vista della stagione olimpica“.
MOMENTO DELLO SLALOM ITALIANO E INSERIMENTO IN SQUADRA – “Io sono entrato nel Team Italia quando i miei compagni di squadra erano tutti tra i primi quindici slalomisti del mondo. Parliamo di Moelgg, Thaler, Deville, Gros, Razzoli, nomi importanti. Quindi quello mi ha insegnato molto. All’inizio, ammetto di aver leggermente subito la situazione perché mi sembrava di non poter arrivare a risultati eccezionali come i loro. Poi mi sono fatto coraggio e ho capito che potevo prendermi le mie chance, iniziando a costruire la mia carriera che purtroppo è stata caratterizzata da parecchi stop per infortuni. Non sono uno che crede molto nella fortuna/sfortuna, però un po’ incide. Non mi posso definire sicuramente un atleta molto fortunato dal punto di vista fisico, però se vado ad analizzare questo dato rispetto al percorso agonistico avuto, mi ritengo soddisfatto di quanto ho fatto e sono convinto di poter fare ancora meglio. L’infortunio di adesso non mi spaventa perché ci sono già passato, so cosa si prova e sono consapevole che la fisioterapia sarà un percorso molto duro e faticoso, che però mentalmente ti può dare uno step ulteriore di consapevolezza. Ora in squadra si fa un po’ più di fatica a rendere, ma io credo che i giovani ci siano e lo vediamo in Coppa Europa. Bisognerebbe forse dare loro più chance, in Italia c’è questa cosa del tre/quattro gare e via. Se non sei dentro, è andata…Io non l’ho mai condiviso, a mio parere. Secondo me il gap tra Coppa Europa e Coppa del Mondo è molto elevato e lo sta diventando sempre di più negli anni. Dare poche chance ai giovani nel massimo circuito internazionale non è così redditizio per la loro crescita. Comunque c’è da credere in questa squadra: Vinatzer è forte, ci siamo allenati insieme e secondo me le carte in regola per stare tra i primi dieci in tutte le gare ce le abbiamo tutti e due. La continuità di arrivare a un podio fisso era lo step che volevo compiere quest’anno e avevo chiaro in testa cosa fare per centrare quest’obiettivo però…“.
CARRIERE LONGEVE – “Vediamo un Bosca che ha l’anno scorso ha fatto la sua miglior stagione, nonostante un infortunio pesantissimo. La performance di oggi non è quella di 20 anni fa. Ne parlavo con Piero Gros e lui ha vissuto gli sci lunghi e quelli di oggi, visto quanto questo fattore ricade sul riscontro finale. Diventa più lunga la carriera perché ci vuole più tempo per perfezionare tanti piccoli passaggi. Fare bene Kitzubuehel la prima volta, che è una delle piste più difficili in calendario, serve un iper talento alla Braathen, però ne nasce uno ogni tot. I ragazzi talentuosi “normali”, che fanno tutti gli step nel modo giusto, hanno bisogno di un po’ più di tempo e quindi anche la carriera si allunga. Lasciando perdere fenomeni alla Shiffrin o alla Odermatt, tra i 27 e i 33 anni c’è la piena maturazione per massimizzare la prestazione. È quell’arco temporale ideale in cui ti sei fatto una bella esperienza e sai interpretare le piste. Io vedo gente che ha fatto la Coppa Europa con me come uno Strasser che ha 2 o 3 anni più di me ed è dall’anno scorso che ha avuto un’esplosione. Prima aveva fatto dei buoni risultati, ma non straordinari. Per cui, togliendo i super talenti, quel riferimento penso sia quello corretto”.
COSA MANCA IN ITALIA E IL CONFRONTO CON LA NORVEGIA – “Secondo me è un po’ un cane che si morde la coda. In Norvegia hanno meno praticanti, quindi hanno un range di scelta minore. Noi abbiamo 300 ragazzini e a tutti 300 dobbiamo dare le stesse chance, per dire, e lo comprendo. Ma se ne hai solo 10, riesci a concentrare tutte le energie su quei 10. Poi in Norvegia il sistema funziona a piramide, nel senso che loro fanno la selezione in una scuola e ne rimangono tre/quattro. Da noi c’è il problema inverso e se siamo, per fare un esempio a caso, 15 in Coppa Europa, dobbiamo dare la chance a 5/6 con tre gare all’uno, tre gare all’altro. Secondo me questa cosa fa perdere un po’ di fiducia perché alla terza gara è difficile entrare nei 30 o avere un risultato di rilievo. In questo modo fai arrivare un messaggio negativo. Per quanto mi riguarda, la selezione va fatta in maniera tale che se si scelgono tre atleti giovani, questi tre si portano per un anno intero a fare tutta la Coppa del Mondo, anche se arrivano cinquantesimi. Non è detto che sia giusto, ma io la vedo così“.