Biocarburanti quali l’Hvo (hydrotreated vegetable oil), intermodalità, nuove soluzioni tecnologiche e anche aerodinamiche. Ecco come le aziende si stanno attrezzando per affrontare la sfida della trasizione energetica. La sostenibilità, in particolare nel settore dei trasporti, e la neutralità tecnologica sono stati gli argomenti al centro del Forum che si è tenuto ieri pomeriggio all’auditorium M9 di Mestre. L’appuntamento è stato organizzato dal Gruppo Nord Est Multimedia – che pubblica questo quotidiano e altri cinque giornali del Nord Est – in collaborazione con Eni.
Al centro dell’incontro alcune significative testimonianze di soluzioni sviluppate dalle aziende per approcciarsi alla mobilità sostenibile. A iniziare dal trasporto delle persone su gomme, in cui opera Itabus, società del gruppo Italo che possiede cento autobus, mono e bipiano, di moderna generazione, con cui sviluppa percorrenze per circa 14 milioni di km all’anno. Se l’intermodalità (treno più gomma e in futuro anche navi, visto l’ingresso di Msc nel capitale di Italo) è nella natura stessa del business di Itabus, la sfida intrapresa con successo dall’azienda è quella dell’impiego dei biocarburanti.
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«Da un paio d’anni abbiamo sviluppato una collaborazione con Enilive per l’utilizzo del biocarburante», ha spiegato Fabio Sgroi, head of health and safety di Italo, «Abbiamo iniziato nel 2023 raggiungendo una quota di biocarburante del 10%. Ma quest’anno abbiamo già raggiunto il 60%. Gli autobus hanno le loro autolinee ed esistono delle autostazioni condivise con il gruppo Eni, dopo poter fare rifornimento. In alcune zone d’Italia esistono delle autostazioni non ancora raggiunte dal biocarburante. In questo caso bisogna fare rifornimento con altre tipologie di carburante. In linea preferenziale con il diesel plus, che ha una percentuale del 15% di Hvo. Altrimenti si va sul diesel tradizionale».
La scelta del biocarburante per Itabus è stata l’opzione privilegiata. «Il trasporto elettrico su gomma non è una soluzione gestibile in questo momento per le distanze elevate», ha aggiunto Sgroi, «All’interno del percorso verso la sostenibilità fatto dall’azienda, la scelta verso l’Hvo è stata quasi obbligata. Le prestazioni sono identiche al carburante tradizionale. Direi che ci sono solo vantaggi nell’uso dell’Hvo, in termini di riduzione di CO2, ma anche di economia circolare».
L’intermodalità è una scelta chiave anche per il trasporto delle merci e la logistica, come insegna l’esperienza di Dachser & Fercam. Quest’ultima è una join venture, dedicata al mercato italiano, nata tra l’altoatesina Fercam e il colosso tedesco Dachser. Gestisce circa 2.500 camion, di proprietà o con società terze, sviluppando oltre 400 collegamenti giornalieri con le filiali italiane ed europee.
«Stiamo puntando su diverse strategie», ha illustrato Dino Menichetti, regional manager di Dachser & Fercam, «Una è quella dell’intermodalità. A oggi circa il 14% dei nostri trasporti li svolgiamo con tratti via ferrovia. Il resto, per ragioni di mercato ed esigenze dei clienti, li facciamo via strada. Del nostro parco mezzi, 50 veicoli sono Lng, cioè alimentati a metano, e tutti gli altri sono Euro 6. Siamo stati tra i primi a sperimentare l’Hvo di Eni nel 2021, perché abbiamo due stazioni di rifornimento interne, nelle sedi di Bolzano e Verona. Riteniamo che per quelli che sono i veicoli pesanti, per i collegamenti a medio e lungo raggio, i biocarburanti siano oggi la soluzione ottimale, grazie al fatto di possedere stazioni di rifornimento interne e condizioni di mercato favorevoli. Oggi l’Hvo ha un costo molto simile a quello del diesel fossile».
L’azienda sta testando anche camion elettrici e a idrogeno, ma quest'ultima tecnologia sconta ancora costi troppo elevati. Mentre per l’elettrico ci si sta concentrando sulla distribuzione all’interno delle città.
Difficoltà maggiori nella svolta verso la sostenibilità si incontrano nel settore navale, dove opera il Gruppo Azimut Benetti, apprezzato in tutto il mondo per i suoi yacht. Un primo problema riguarda le dimensioni assai variabili delle imbarcazioni. «Il settore navale ma anche quello aeronautico si concentrano sulla costruzione di sistemi a elevato rapporto tra peso – potenza, per cui alcune soluzioni non sono possibili», ha chiarito Carlo Ighina, responsabile ricerca e sviluppo di Azimut Benetti.
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«Il primo modello ibrido su cui abbiamo lavorato risale al 2008. Per propulsione ibrida intendiamo dei sistemi con generatori diesel integrati con motori elettrici che forniscono la trazione finale, riuscendo a ottimizzare i consumi. In questi anni abbiamo studiato ad ampio spettro tutte le tecnologie. Ma ci sono limiti fisici. Sistemi puramente elettrici sono possibili solo sui motoscafi di supporto agli yacht».
Per il settore navale la road map è di una riduzione del 40% delle emissioni di CO2 nel 2030, che salgono al 70% nel 2040, per arrivare all’azzeramento nel 2050. I miglioramenti principali, in termini di riduzione delle emissioni, si stanno ottenendo con nuove soluzioni aerodinamiche, ma soprattutto investendo sui biocarburanti.
Il forum all’M9 ha fatto il punto anche sulla produzione dei biocarburanti. Proprio a Marghera, nel 2014, è sorta la prima bioraffineria al mondo.
«Quando nel 2014 abbiamo deciso di convertire la raffineria di Porto Marghera in bioraffineria siamo stati dei pionieri», ha detto Raffaela Lucarno head of biorefining & supply di Enilive, «Nel 2019 è stata convertita la raffineria di Gela e un’altra bioraffineria è attiva dal 2023 in Louisiana negli Stati Uniti. La nostra capacità di produzione a oggi è di 1,65 milioni di tonnellate l’anno. Ma nel 2028 arriveremo a più di 3 milioni».
Il piano di crescita prevede nel 2026 l’attivazione di Livorno e sono già finanziati i progetti per degli impianti in Malesia e in Corea del Sud. Un capitolo importante da sviluppare nei prossimi anni sarà quello legato all’aviazione, con il potenziamento della produzione di biojet, biocarburante per gli aerei che può essere utilizzato già fino al 50% nella loro alimentazione. «Sta ripartendo l’impianto di Gela dopo un revamping per produrre, oltre all’Hvo diesel, anche l’Hvo jet», ha concluso Lucarno, «Nel 2025 avremo una capacità produttiva di 400 mila tonnellate. Nel 2026 faremo lo stesso investimento a Porto Marghera».
«Stiamo affrontando una fase difficilissima per il settore dell’auto in Europa: scioperi ad oltranza alla Volkswagen e le dimissioni dell’ad del gruppo Stellantis Tavares, mentre sullo sfondo rimane lo stop all’auto a motore endotermico entro il 2035. Percorrere un’unica strada, quella dell’elettrico, con scadenze così ravvicinate, non è corretto: bisogna guardare anche alla sostenibilità economica e sociale delle aziende, garantendo il lavoro».
Paola Carron, presidente di Confindustria Veneto Est, è stata tra i protagonisti ieri del Forum sulla transizione energetica e mobilità sostenibile organizzato dal nostro giornale ieri a Mestre. «Il settore manifatturiero ha bisogno di una normativa stabile e una programmazione a lungo termine, dobbiamo trovare soluzioni alternative per permette alle aziende di continuare ad innovare - aggiunge la presidente -. Va sostenuta la ricerca e lo sviluppo per affrontare le transizioni, accompagnate da investimenti importanti. Il rischio è grosso: 70 mila lavoratori del settore sono a rischio solo in Italia. La politica deve confrontarsi maggiormente con il mondo delle imprese. Le aziende hanno una grande attenzione ai temi di sostenibilità. Non dobbiamo però soffrire sotto l’aspetto economico e sociale, mentre gli altri viaggiano a velocità doppia grazie ai costi più bassi».
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In Veneto ci sono 350 aziende che lavorano nel settore automotive, impiegando 5.400 addetti per 1,4 miliardi di fatturato aggregato, ovvero l’8% di quello nazionale. «Le auto francesi e tedesche parlano un po’ veneto, qui c’è una filiera unica al mondo: un settore da tutelare, le imprese devono essere in grado di continuare ad investire in innovazione e formazione del personale», aggiunge Carron.
Introdurre elementi di flessibilità, ma non venir meno agli obiettivi della transiente ecologica, è la strada da seguire per il senatore e segretario del Partito democratico veneto Andrea Martella: «La crisi del settore automotive avrà conseguenze negative nella nostra regione, per le aziende della componentistica - spiega il senatore Pd -. Male ha fatto il governo Meloni a tagliare i 4,6 miliardi di euro fondi per il settore automotive previsti dal governo Draghi. L’Europa deve farsi promotrice per la creazione di grandi player per affrontare la rivoluzione ecologica, con risorse importanti. Il rapporto Draghi è da seguire per dare all’Europa maggiore peso a livello internazionale su sicurezza, energia e industria. Molto ci attendiamo dalla nuova Commissione europea, anche se è più debole del passato. Serve comunque un’Europa forte ed unita per confrontarsi con Cina e Usa».
Il senatore Pd fa presente inoltre che manca «una regia politica veneta per l’industria, che sappia collocarsi in una dimensione europea e che aiuti le nostre imprese nella transizione green e digitale».