Filippo Turetta è stato condannato all'ergastolo. Al termine di una riunione in camera di consiglio durata oltre sei ore, è questo il verdetto pronunciato da Stefano Manduzio, presidente della Corte d'assise di Venezia, nei confronti del 22enne padovano accusato dell'omicidio dell'ex fidanzata Giulia Cecchettin.
La Corte ha ritenuto prevalente, quindi, la presenza delle circostanze aggravanti individuate dal pubblico ministero Andrea Petroni. Riconosciute le aggravanti di premeditazione e rapporto affettivo. Esclusa l’aggravante della crudeltà.
Presenti in aula, alla lettura della sentenza, il papà Gino Cecchettin, gli zii Andrea Camerotto e Alessio Cecchettin, la nonna Carla Gatto. E Filippo Turetta: felpa grigia, jeans, ha assistito alla lettura della sentenza in silenzio, senza proferire parola.
La Corte d'Assise di Venezia era entrata in camera di consiglio poco prima delle 10 del 3 dicembre per discutere e deliberare la sentenza per Filippo Turetta, il 23enne reo confesso del femminicidio di Giulia Cecchettin.
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L'udienza, la quinta, prevedeva inizialmente le repliche del pm, delle parti civili all'arringa della difesa e l'eventuale controreplica, che però non ci sono state.Il presidente Stefano Manduzio aveva quindi dichiarato chiusa la fase dibattimentale per l'entrata in camera di consiglio. La lettura della sentenza era prevista non prima delle ore 16.
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«La mia sensazione è che abbiamo perso tutti come società. Non sono né più sollevato né più triste rispetto a ieri o domani. È una sensazione strana, pensavo di rimanere impassibile». Lo ha detto Gino Cecchettin, dopo la lettura della sentenza. «È stata fatta giustizia - ha aggiunto - la rispetto, ma dovremmo fare di più come esseri umani. La violenza di genere va combattuta con la prevenzione, con concetti forse un po' troppo lontani. Come essere umano mi sento sconfitto».
«La giuria sì è pronunciata - ha proseguito Cecchettin - ha comminato una pena, non entro nel merito, la rispetto, ma la battaglia contro la violenza continua, è una battaglia che dovremo fare come società. Bisognerà capire cos'è crudeltà e cosa stalking, ci sarà da dibattere. Domani si riparte coi messaggi di sempre, mi dedicherò alla Fondazione e continueremo nel nostro percorso con il comitato scientifico, cercando di salvare vite». Cecchettin ha poi aggiunto che «prima ero impassibile, perché avrei accettato qualsiasi verdetto, ma nel momento in cui è arrivato, l'essere qui tutti, significa aver perso una battaglia. Andrò avanti con il mio percorso, oggi era una tappa dovuta per rispettare le leggi che ci siamo dati come società civile. È una sentenza, giustizia posso dire che è stata fatta secondo le leggi vigenti. Il percorso sì fa su altri campi», ha concluso.
«Non ci si può certo dire soddisfatti di una sentenza, noi abbiamo il nostro dolore e ce lo portiamo, fino alla tomba», le parole della nonna di Giulia Cecchettin, Carla Gatto, all'esterno del tribunale di Venezia. «Non si prova più niente», ha aggiunto.
«Una sentenza che francamente ci aspettavamo, leggeremo le motivazioni. Dal punto di vista risarcitorio la richiesta è stata soddisfatta. Nessuno vince oggi». Lo ha detto ai giornalisti l'avvocato Stefano Tigani, legale di parte civile per Gino Cecchettin. Per Tigani «la fine di un processo è un accertamento che vedrà gradi di impugnazione, e dovremo combattere anche là. L'ergastolo ha un'aggravante pesantissima, questa sentenza sono convinto che passerà indenne i successivi gradi».
«Giusto così. Ora sarebbe corretto obbligarlo anche a lavorare duramente, in carcere, per evitare che la sua permanenza in galera sia completamente a carico degli italiani» dice il vicepremier e leader della Lega Matteo Salvini, commentando la condanna.
«Accogliamo questa sentenza ben consapevoli che nessuna condanna potrà mai restituire Giulia ai suoi cari e a quanti le volevano bene. Un femminicidio che ha segnato profondamente la nostra comunità, una violenza che ha interrogato tantissime coscienze in tutta Italia, una tragedia che ha posto il tema dei femminicidi al centro di una riflessione collettiva». Lo afferma in una nota Luca Martello, sindaco di Vigonovo (Venezia), il comune dove abitava Giulia Cecchettin. «Un confronto - prosegue Martello - che deve saper essere serio e costruttivo, e che deve farsi carico anche delle ritrosie e delle paure di chi ancora cerca scuse e preferisce nascondersi. Non basterà guardare a se stessi, servirà agire insieme per riuscire a stanare quelle complicità umane e sociali che alimentano questo tipo di fenomeni. Speriamo che questa decisione rappresenti non solo un atto di giustizia per Giulia e la sua famiglia, ma anche un messaggio chiaro e forte: i crimini contro le donne non devono mai essere tollerati. Come Amministrazione continueremo a lavorare affinché tragedie simili non si ripetano, promuovendo la sensibilizzazione e l'educazione al rispetto e alla parità. Restiamo vicini alla famiglia Cecchettin, certi che la memoria di Giulia continuerà a vivere nei nostri cuori e nelle azioni della nostra comunità», conclude
Ci sono stati una stretta di mano e un breve conciliabolo nell'aula del Tribunale di Venezia tra Gino Cecchettin e l'avvocato Giovanni Caruso, difensore di Filippo Turetta, dopo le polemiche seguite all'arringa del legale che, secondo Cecchettin, aveva «umiliato la memoria di Giulia».
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Il breve incontro si è tenuto prima dell'inizio dell'udienza, che ha portato poi il collegio a riunirsi in camera di consiglio per la sentenza. Né Cecchettin, né Caruso hanno rilasciato dichiarazioni, eccetto una breve battuta del legale di Turetta: «Mi ha fatto molto piacere potermi chiarire».
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«Ognuna di queste due famiglie ha il proprio dolore. Spero che dalla parte di Turetta si soffra un po' di più, pensando che Giulia non c'è più, mentre Filippo è qui, anche se andrà in carcere». Così si è pronunciato Andrea Camerotto, lo zio materno di Giulia, parlando con i cronisti a margine dell'udienza del processo a Filippo Turetta, mentre il collegio era riunito in camera di consiglio. «Filippo non ha mai chiesto scusa», ha sottolineato, «non ha mai nominato Giulia. Forse è stata la situazione, ma non capisco il perché. Noi siamo sempre stati attenti e solidali con i suoi genitori. Forse io sono stato un po' aggressivo nelle mie espressioni, ma nulla più. Il nostro comportamento è quello delle prime ore, quando i due erano stati dati per scomparsi».
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«Non sono per il perdono, non perdonerò mai chi ha ucciso mia nipote e non perdonerò mai chi fa del male alle donne» ha aggiunto, «Turetta ha ucciso con crudeltà, nel tragitto verso Fossoò aveva modo di tornare indietro, non l'ha fatto ed è stato veramente crudele. Comunque Filippo per me non esiste, non ho niente da dirgli. Come ha detto mio cognato Gino, prima dell'omicidio di Giulia non eravamo coscienti della violenza sulle donne, si “assaporava” la disgrazia e si girava la pagina del giornale. Ora bisogna farsi delle domande, sono contento che Gino abbia intrapreso la strada della Fondazione e lo sosterrò».
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Il 12 novembre 2023 alle 13.30 Gino Ceccchettin si presenta dai carabinieri di Vigonovo, dove vive, per denunciare la scomparsa della figlia Giulia di 22 anni perchè non è rincasata dopo essere uscita la sera prima con l'ex fidanzato Filippo Turetta. Il suo telefono è spento e viene subito escluso un allontanamento volontario perché di lì a pochi giorni ha in programma la discussione della sua tesi di laurea in ingegneria biomedica.
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Il padre scrive nella denuncia che Davide ed Elena, fratello e sorella di Giulia, gli hanno riferito che la ragazza era andata al centro commerciale Nave de Vero assieme a Turetta per comprare il vestito per il giorno che segnerà il coronamento dei suoi studi. I genitori del giovane riferiscono che il figlio gli aveva comunicato via whattsap che non sarebbe tornato a casa per cena.
Dalle indagini, si scoprirà che il giorno prima Giulia aveva proposto un incontro ma chiarendo a Filippo che lui non avrebbe dovuto tormentarla con le domande su Erik, un ragazzo di Reggio Emilia che aveva conosciuto alla scuola per diventare illustratrice. Il ritrovamento.
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Sabato 18 novembre il corpo di Giulia, straziato da 75 ferite provocate da un coltello, viene trovato alle 11.30 del mattino dai cani di due volontari della Protezione Civile. Era nascosto da sacchi neri in un anfratto roccioso a Piancavallo, una frazione del Comune di Aviano, in provincia di Pordenone, lungo la strada turistica del Pian delle More.
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Accanto a lei c'è un libro per bambini che poi si saprà essere un regalo per Giulia da parte di Filippo, rifiutato dalla ragazza durante l'ultima lite.
Alle 22.36 dello stesso giorno la Grande Punto di Turetta, sul quale pende un mandato di arresto europeo, viene fermata da una pattuglia tedesca sull'autostrada A9 a Duerremberg, in direzione Monaco. L'auto e' in sosta sulla corsia di emergenza.
Filippo Turetta si avvicina ai poliziotti tedeschi alzando le mani e confessando di avere ucciso Giulia Cecchettin. L'interrogatorio. Il primo dicembre, nel carcere di Montorio, a Verona, Turetta confessa l'omicidio al pm Andrea Petroni.
«Abbiamo iniziato a discutere. Mi ha detto che ero troppo dipendente, troppo appiccicoso. Voleva andare avanti, si stava creando nuove relazioni, sentiva un altro ragazzo. Ho urlato che non era giusto, che avevo bisogno di lei, che mi sarei suicidato. E’ scesa dalla macchina urlandomi di lasciarla in pace. Pochi minuti dopo l'ho accoltellata. Mi ricordo che era rivolta all'insù verso di me. Si proteggeva con le braccia dove la stavo colpendo». Le fasi dell'aggressione.
Dalla ricostruzione degli inquirenti, emerge che i due ragazzi hanno cenato nel centro commerciale e ci sono rimasti fino a poco prima delle 23.
Poco dopo, nel parcheggio vicino all'asilo di Vigonovo, distante 150 metri dalla casa dei Cecchettin, c'è la prima aggressione. Giulia cerca di scappare uscendo dalla macchina, Filippo l'afferra e l'accoltella, poi la zittisce e immobilizza con un nastro adesivo.
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La seconda fase avviene nel tragitto in auto verso la zona industriale di Fossò, come documentato dalle telecamere di un'azienda. La vittima riesce a fuggire ma alle 23.40, dopo una breve corsa, viene raggiunta da Turetta che le si avventa addosso colpendola di nuovo. Dieci minuti dopo lui risale in auto col corpo della fidanzata e inizia la fuga di mille chilometri.
Il 5 dicembre 2023 diecimila persone salutano Giulia Cecchettin nella basilica di Santa Giustina a Padova.
Sull'altare Gino chiama alle proprie responsabilità ogni pezzo della società, famiglia, scuola e politica, chiedendo agli uomini di diventare "agenti di cambiamento contro la violenza di genere".
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Chi è rimasto fuori, sulla piazza, davanti al maxischermo fa "rumore" in memoria di Giulia, lo stesso che ha scosso altre piazze in altri luoghi del Paese. Il processo.
Lunedì 23 settembre si apre il processo a Filippo Turetta con rito immediato davanti alla Corte d'Assise di Venezia, per quattro udienze in tutto.
Il 25 ottobre 2024 Turetta depone in aula sotto lo sguardo di Gino Cecchettin. «Ho pensato di rapirla, e anche di toglierle la vita», «Giulia scappava, urlava e l'ho colpita ancora», le confessioni che hanno sconvolto l'uditorio. «Abbiamo capito chi è Filippo Turetta», commentò quel giorno Gino Cecchettin.
Il 25 novembre 2024 il pm Andrea Petroni chiede la condanna all'ergastolo di Filippo Turetta, senza isolamento diurno.
«E' difficile credere a null'altro che a un omicidio premeditato, testimoniato da tutti gli elementi raccolti, non perché forniti da Filippo, ma recuperati attraverso l'attività di indagine dalle memorie dei vari dispositivi elettronici», afferma.
L’ergastolo “inumano”, la tragedia vera e quella che va in scena in aula
(Fulvio Ervas, scrittore)
Le parti civili chiedono risarcimenti per 2.150.000 euro.
Il 26 novembre 2024: nell'arringa difensiva, Giovanni Caruso sottolinea che «Filippo Turetta sa che dovrà fare molti anni di galera, ma non è el Chapo, non è Pablo Escobar» e sostiene che «Giulia Cecchettin non aveva paura di Filippo Turetta. Voleva lasciarlo ed aveva scritto una lista che elencava i motivi per interrompere quel rapporto». Parole che Gino Cecchettin definisce una «umiliazione» della memoria di Giulia.
Il 3 dicembre 2024 la sentenza.