La direzione è quella del divieto di effettuare il self check-in (dunque in modo telematico) non solo per limitare (anzi, abbattere) il pullulare delle cosiddette “key-box” sparse per le principali città italiane, ma anche per rendere più profondi i controlli di Polizia sugli ospiti nelle strutture ricettive. Dunque, la modalità “online” di invio e ricezione dei documenti d’identità di chi alloggia in un albergo, ma anche in un Airbnb, viene di fatto invalidata, sottolineando come l’unica modalità di controllo dei suddetti documenti debba essere quella “de visu”.
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Come abbiamo spiegato nel precedente approfondimento in cui abbiamo parlato, nel dettaglio, di quanto contenuto nel testo della circolare inviata dal Dipartimento della Pubblica Sicurezza (in seno al Ministero dell’Interno) a tutte le strutture ricettive sparse sul suolo italiano (compresi gli host Airbnb), viene sottolineato come il “riconoscimento” attraverso il self check-in (ovvero l’invio dei documenti d’identità degli alloggiati esclusivamente in via telematica) non sia più una strada percorribile per il rilascio delle chiavi e di autorizzazione al pernottamento. In sintesi, il controllo dei documenti deve avvenire “de visu” per controllare “fisicamente” che chi si trova ad occupare una stanza (o altro) sia realmente la persona che ha effettuato la prenotazione e che all’interno non vengano ospitate persone terze.
Ovviamente, tutto ciò è vincolato all’invio della comunicazione sull’identità degli alloggianti alla Questura di riferimento per le tradizionali operazioni di controllo. E allora, perché nel titolo abbiamo messo in dubbio la vera esistenza di questo divieto self check-in? Il testo, come detto, parla chiaro. Ma nei mesi precedenti a questa circolare, i gestori delle strutture ricettive avevano ricevuto un’ulteriore interpretazione dell’articolo 109 del TULPS in cui si spiegava:
«È altresì possibile avvalersi della pratica del check-in online, che consente agli ospiti di comunicare i propri dati prima di giungere nella struttura alberghiera; tale modalità organizzativa, tuttavia, non esclude che, al momento dell’arrivo, il gestore o un suo incaricato sia tenuto comunque ad identificare il cliente, attraverso la verifica del documento di identità esibito».
Dunque, il check-in online non è vietato, ma il gestore deve necessariamente procedere all’identificazione de visu rendendo quella pratica, di fatto, inutile ma utilizzabile per rendere più veloci le operazioni di accreditamento. Il punto di vista del Viminale, dunque, non è quello di salvaguardare e tutelare gli utenti dall’invio dei propri documenti e generalità su piattaforme o chat “poco sicure”, ma solo quello di rendere più sicuri i controlli sulle persone ospitate.
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