Gli scenari di riferimento per il sistema energetico mondiale indicano una crescita costante e inarrestabile della domanda di energia. I fabbisogni globali, oggi stimati a circa 30.000 Twh per il 2030, dovrebbero superare i 45.000 Twh entro il 2050. Parallelamente, il mix energetico mondiale sarà dominato da fonti decarbonizzate, che passeranno dall’attuale 20% a una quota compresa tra l’80% e il 100%.
In questo contesto, il controllo delle tecnologie e dei sistemi per la produzione di energia rinnovabile e delle auto elettriche diventa sempre più un fattore strategico fondamentale per la leadership industriale globale. Si tratta di una vera e propria rivoluzione industriale, più che di una semplice transizione energetica, che comporta un profondo e radicale cambiamento nei mezzi di produzione e nei modelli di consumo. Una rivoluzione che vede protagoniste le forze industriali capaci di governare il cambiamento, conquistando nuove materie prime – litio, cobalto, terre rare – e sviluppando innovazioni e tecnologie, con l’obiettivo di dominare processi e mercati.
La concentrazione della produzione di materie prime critiche, dei relativi flussi commerciali e la capacità di fare innovazione rappresentano evidenti criticità strategiche, destinate a influenzare nei prossimi anni le scelte verso la neutralità climatica e, soprattutto, verso l’indipendenza energetica e tecnologica.
Dunque, il controllo delle materie prime, delle tecnologie e dei sistemi per la produzione di energia rinnovabile e di auto elettriche diventa sempre più determinante per la leadership industriale globale. Ed è in questo contesto che, oggi, la transizione energetica appare guidata dalla Cina. La Cina, attraverso una politica industriale di lungo termine orientata al controllo della logistica e della raffinazione delle materie prime e alla produzione integrata di batterie, pannelli solari e auto elettriche, ha conquistato la leadership contrattuale nelle principali aree minerarie. Successivamente, ha investito in tecnologia e capacità di raffinazione, costruendo una leadership chimica con Sinochem Holdings. Infine, ha consolidato la sua leadership elettrica con Catl(leader mondiale nelle batterie) e, attraverso Byd, quella automobilistica.
La grande transizione energetica pone chiaramente in primo piano la tutela delle catene di approvvigionamento, un fattore determinante per la sicurezza nazionale. Negli Stati Uniti, la dipendenza dalle forniture estere rappresenta una minaccia, soprattutto a causa del predominio cinese, per la leadership economica, tecnologica e militare.
La reazione americana, sebbene tardiva, si è dimostrata immediatamente decisa. L’Inflation Reduction Act (IRA) del 2022, con l’obiettivo di ricostruire la capacità di produzione e innovazione, definisce i confini della competizione tra Cina e Stati Uniti nella transizione energetica. Mira a contenere l’ascesa cinese nelle filiere industriali delle energie pulite e a riaffermare la supremazia dell’industria americana nei confronti di tutti i concorrenti globali, compresi i partner europei.
Con un budget di 738 miliardi di dollari, di cui 391 miliardi destinati all’energia e al cambiamento climatico, l’Ira rappresenta la risposta americana al predominio cinese nello scenario della transizione energetica globale. I miliardi “green” vengono investiti in energie rinnovabili e nello stoccaggio energetico di rete (128 miliardi), energia nucleare (30 miliardi), incentivi per i veicoli elettrici (13 miliardi), efficienza energetica domestica (14 miliardi), approvvigionamento energetico interno (22 miliardi) e produzione avanzata di energia (37 miliardi).
Ogni famiglia americana può beneficiare di un incentivo fino a 7.500 dollari per l’acquisto di un’auto elettrica, purché prodotta o assemblata negli Stati Uniti. Il Dipartimento dell’Energia ha persino stilato un elenco dei modelli ammissibili.
L’Ira interviene con estese agevolazioni fiscali, sostenendo sia la produzione manifatturiera di tecnologie verdi sia la domanda di beni prodotti in America, con l’obiettivo di rafforzare la green economy nazionale. Gli obiettivi sono ambiziosi: aumentare il livello tecnologico della manifattura americana, creare circa 900 mila nuovi posti di lavoro qualificati in 10 anni, avviare un percorso di decarbonizzazione e consolidare la leadership climatica, energetica ed economica degli Stati Uniti. La politica protezionista dell’Ira punta a riportare al centro del territorio americano la catena del valore della green economy, imponendo requisiti di contenuto locale per stimolare la produzione interna.
I numeri confermano il pragmatismo americano. Nel 2022, gli Stati Uniti avevano prodotto appena 5 Gw di moduli solari, importandone 29 GW dai Paesi asiatici, principalmente dalla Cina. Dopo l’entrata in vigore dell’Ira, sono stati pianificati 155 Gw di capacità produttiva lungo la filiera, con investimenti per 20 miliardi di dollari in nuovi impianti. Nel 2023, sono stati completati 55 Gw di nuovi progetti per energie rinnovabili, per un valore complessivo di 75 miliardi di dollari.
Per il settore dei veicoli elettrici (Ev), l’Ira ha stabilito un credito d’imposta fino a 7.500 dollari per veicolo, ma solo se la batteria è assemblata in Nord America con materiali non provenienti da “entità straniere di preoccupazione” (come la Cina). Questo ha spinto aziende come Ford, General Motors, Tesla e produttori europei come Stellantis e Volkswagen a stringere accordi con fornitori di batterie coreani e giapponesi. Entro il 2030, gli Stati Uniti potrebbero contare su una capacità produttiva tra 912 e 1.200 Gw solo per gli Ev.
Il futuro dell’Ira sotto un’eventuale nuova amministrazione Trump è una delle principali incognite della politica industriale globale. Tuttavia, lo spirito del Maga (Make America Great Again) punta non solo all’indipendenza energetica, ma al dominio globale dell’energia, dagli idrocarburi alle rinnovabili, al nucleare.
Mentre Trump enfatizza l’espansione della produzione di idrocarburi con lo slogan “Drill, Baby, Drill”, ha rivisto la sua posizione sulle rinnovabili grazie al sostegno di Elon Musk. Nonostante l’iniziale scetticismo verso l’Ira, i benefici economici per gli stati repubblicani hanno mitigato le critiche, consolidando posti di lavoro e investimenti.
In definitiva, anche con Trump, l’Ira potrebbe cambiare nome ma mantenere le sue misure fondamentali, rafforzando la manifattura nazionale e assicurando il dominio americano nell’era della transizione energetica.
L'articolo L’analisi. Dall’Ira di Biden al Maga di Trump: per gli Usa è sempre una questione di “energia” sembra essere il primo su Secolo d'Italia.