PAVIA. Vent’anni tra indagini e processi. Le prime denunce per dieci ex amministratori dell’ex Fibronit risalgono al 2004 ma solo nel 2012 si apre la prima udienza del processo Fibronit alla piscina di Voghera. Dopo gli accertamenti dei carabinieri di Stradella, che avviano un censimento delle possibili persone coinvolte e raccolgono documentazione tecnica e sanitaria, finiscono sul banco degli imputati per omicidio colposo plurimo e disastro ambientale i responsabili che si sono alternati in diversi periodi alla guida della fabbrica, aperta nel 1932 e chiusa nel 1994. Questo primo processo si concentra su 275 decessi: dipendenti e cittadini pavesi morti tra il 2005 e il 2009 per diverse patologie (mesotelioma, absestosi, neoplasie polmonari, infarti da compressione, placche pleuriche) e che appartengono a tre categorie: gli operai che lavorano nello stabilimento, che per anni erano stati esposti alle fibre di amianto, i residenti in un raggio di tre chilometri e i familiari dei dipendenti. Tra la prescrizione e la scelta della stessa procura, che decise di scremare i casi in cui era più evidente il nesso di causa tra la fabbrica e la patologia sviluppata, si è arrivati alla fine a 27 parti civili, dipendenti addetti nello stabilimento alla lavorazione delle fibre di amianto.
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Nel 2012 via al processo
Il processo con rito ordinario si apre il 15 novembre 2012 ma solo per tre imputati (Lorenzo Mo, Michele Cardinale e Alvaro Galvani). Due imputati (Claudio Dal Pozzo e Giovanni Boccini, amministratori della fabbrica in un altro periodo) sono stati già giudicati con abbreviato e condannati dalla giudice Luisella Perulli a 4 anni di reclusione. Altri cinque imputati sono deceduti o dichiarati incapaci di intendere e volere prima dell’avvio del processo.
Anche i difensori dei tre imputati rimasti nel processo ripropongono, a questo punto, la richiesta di giudizio abbreviato e chiedono che siano eseguite due perizie: una sulla gestione e organizzazione dello stabilimento, l’altra sulle cause della morte degli operai. La seconda è affidata a un collegio di super periti (Antonio Osculati, Rosa Maia Gaudio e Antonio Petrachi).
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Il primo verdetto: condanna
Il 10 febbraio 2017, in linea con le richieste della procura, il collegio di Pavia composto dai giudici Luigi Riganti, Raffaella Filoni e Pasquale Villani, emette una sentenza di condanna a 4 anni per Cardinale e 3 anni e 4 mesi per Mo, mentre per Galvani scatta l’assoluzione. Per i giudici la condotta dei due imputati fu molto grave: «Cardinale e Mo hanno voltato lo sguardo altrove per non vedere una situazione produttiva assolutamente disastrosa. L’impianto di captazione delle polveri presente presso lo stabilimento andava incontro a continue rotture». Un verdetto che regge anche in secondo grado: nel 2019 la Corte d’Appello conferma le due condanne. Intanto però è arrivata la sentenza definitiva, in Cassazione, per Del Pozzo e Boccini, che escono assolti dalle accuse.
Il secondo fascicolo
Mentre i processi vanno avanti, però, la gente continua a morire. Questi decessi confluiscono in un particolare registro istituito dalla procura, dove arrivano prima i nomi di coloro che contraggono una malattia amianto-correlata e poi i morti. Un registro che continua ad allungarsi. Nel 2020 la Cassazione, sulle condanne dei due imputati rimasti, rimanda la palla alla Corte di Appello, per un processo-bis. Gli ermellini ritengono «non soddisfacente l’individuazione dei criteri scientifici» alla base della «ricostruzione del nesso causale» tra esposizione all’amianto e morti. Nel processo-bis viene disposta una nuova perizia, che non scioglie i dubbi.
L’assoluzione
Il 18 luglio 2022 arriva, per i due imputati, l’assoluzione. Sentenza diventata definita il primo novembre 2022. Per la strage silenziosa di Broni di fatto non ci sono colpevoli. Resta aperto, però, ancora il fascicolo in procura del secondo troncone, sui malati e morti dopo il 2009: ci sono 470 nomi. Per questo, oggi, la procura chiede l’archiviazione. —
M. fio.
