Il mondo del web è stupendo, ma i pericoli sono dietro l’angolo. Per questo motivo, tra le tante accortezze che un utente deve aver fin dall’approccio a Internet, quello della difesa della propria identità digitale dovrebbe essere un tema all’attenzione di tutti. Come abbiamo spiegato in un precedente approfondimento, negli ultimi anni sono aumentate esponenzialmente quelle azioni cyber criminali che tra i tanti effetti nefasti hanno portato anche alla perdita di svariate decine di milioni di euro, solo in Italia. Accessi fraudolenti alle nostre banche online, attraverso attività di spoofing e vishing che hanno sostituito l’ormai desueto (ma oggi, grazie a una consapevolezza maggiore) phishing.
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L’obiettivo principale dei cyber criminali è, ovviamente, quello del profitto fraudolento. Le principali – soprattutto per effetti nefaste – azioni di furto dell’identità digitale sono quelle relativo all’accesso ai nostri conti bancari. E da anni questo tema è entrato anche al centro delle sentenze dell’Arbitro Bancario Finanziario, quell’organo che si occupa di gestire i contenziosi tra clienti e banche (o altri operatori finanziari) anche nei casi di furto di denaro attraverso un accesso fraudolento generato dal furto d’identità digitale.
Grazie a Wallife, che ha analizzato tutti i casi finiti sotto il giudizio di ABF relativi al furto d’identità digitale, sappiamo che la maggior parte delle controversie non hanno un epilogo felice per il cliente.
Questi dati fanno relativi alle sentenze di ABF nei primi nove mesi dello scorso anno. L’Arbitro è stato chiamato a dare il proprio giudizio su 855 contenziosi tra clienti e banche. Nella maggior parte dei casi, è stata respinta la richiesta di rimborso totale di quanto illecitamente sottratto dai criminali informatici. Nello specifico, solamente il 35% delle persone che si sono viste sottrarre del denaro dai proprio conti attraverso un accesso fraudolento alla propria home banking si è vista restituire il maltolto, mentre la richiesta è stata respinta nel 53% dei casi. Per quel che riguarda lo spoofing, su 375 sentenze il 40% ha disposto il rimborso totale, il 22% quello parziale e il 38% ha visto la richiesta respinta. E per quel che riguarda il vishing la situazione non è stata ben diversa: solo il 33% ha ottenuto un rimborso totale, mentre un nulla di fatto è stato sentenziato per il 53% dei casi oggetto di contenzioso.
Ovviamente, ogni sentenza si basa su vicende differenti che hanno come unica analogia quella del furto di identità digitale per accedere alle home banking. Questi dati, però, sono il classico esempio di come occorra una maggiore consapevolezza dal lato dell’utente/cittadino/cliente, anche sugli strumenti per difendere i propri conti bancari attraverso accorgimenti tecnologici già a disposizione di tutti.
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