La prima volta era stata appena una settimana dopo le nozze, quando l’aveva spinta giù dalle scale di casa. Era il 1990 e, da allora, le cose non sono mai migliorate: per 33 anni l’ha insultata, minacciata, picchiata, umiliata, in un regime di soprusi e violenze che aveva poi oppresso anche i due figli nati da quel matrimonio.
Fino al maggio dell’anno scorso, quando una frase diversa ha spezzato il giogo imposto alla moglie, quasi per caso: all’uomo, tra un’offesa e un’intimidazione, è scappato un «vattene via da questa casa».
E la donna se n’è andata davvero, sentendosi improvvisamente autorizzata alla fuga, e nell’allontanarsi da lui è anche finalmente passata per la caserma a denunciare tre decenni di abusi.
La vittima, classe 1970, nel corso di 33 anni di matrimonio non si era mai rivolta alle forze dell’ordine; anzi, per essere precisi non si era mai neppure presentata in pronto soccorso per farsi medicare le ferite inferte dal marito: troppo insistenti le promesse di ritorsioni, non solo contro di lei ma anche contro i suoi genitori: «Se parli, se lo dici a qualcuno, ti trovo e ti ammazzo. Poi ammazzo anche loro», le diceva durante ogni litigio.
Ma 18 mesi fa quella frase ha fatto scattare un interruttore: la 53enne se n’è davvero andata di casa per non tornare mai più e, anzi, ha anche trovato la forza per separarsi formalmente dall’uomo.
Lui ha potuto così tenersi la residenza, ma gli è stato immediatamente imposto il divieto di avvicinarsi ancora all’ormai ex moglie.
Il racconto della donna, d’altronde, tracciava il quadro di una convivenza segnata dalle prevaricazioni più spaventose: il marito, di professione pescatore, ogni settimana rientrava a casa ubriaco e le dava della «mongoloide», «sporca», «scema», se non peggio; in un’occasione l’avrebbe costretta a spogliarsi e a distendersi nella vasca da bagno per poi picchiarla e umiliarla, ma quasi ogni giorno c’erano sputi, sberle, pugni, testate, strangolamenti e ogni tipo di minacce: «te masso», «te copo», «ti faccio fare una brutta fine», «ti butto all’ospedale», «ti sciolgo a sangue a furia di disfarti».
Dopo la fuga della moglie le offese sono continuate via messaggio: l’uomo insisteva con gli stessi toni, cercava di spaventarla per farla tornare a casa - anche perché, di fatto, era lei a svolgere qualsiasi tipo di faccenda domestica - ma ormai l’ombra del marito non la raggiungeva più e lei non si è più fatta rivedere nelle vicinanze dell’uomo.
Ieri la vicenda è arrivata anche in tribunale, dove il pm Giorgio Gava ha chiesto per il pescatore clodiense, ormai 58enne, una pena esemplare.
I giudici hanno deciso per sei anni e otto mesi, tagliando dalle accuse l’aggravante della recidiva (all’uomo era contestato un episodio precedente al matrimonio, negli anni 80) ma insistendo sulla reiterazione e sulla presenza dei figli durante la grandissima maggioranza degli scontri avuti con la moglie, anche quando i due erano ancora bambini.
A testimoniare in aula sono arrivati proprio i due, oggi adulti, che hanno confermato il clima tremendo in cui ha vissuto da sempre l’intera famiglia.