Per Gino Cecchettin è stato davvero troppo: e dopo la requisitoria della difesa di Filippo Turetta si abbandona, per la prima vera volta, a un amaro sfogo sui social in cui attacca i legali dell’imputato 23enne, a processo per il brutale omicidio di sua figlia Giulia. «Io ieri mi sono nuovamente sentito offeso e la memoria di Giulia umiliata». Quelle parole dell’arringa difensiva pronunciata davanti alla corte d’Assise di Venezia tornano sotto i riflettori con tutti i risvolti giuridici e evocativi che hanno sollevato perplessità se non addirittura indignazione in molti.
La difesa di Filippo Turetta ieri in aula, pur premettendo – rivolto ai togati e ai giudici popolari – che «quello di oggi (martedì, ndr) per noi è un compito tra i più difficili dell’esperienza professionale di un avvocato difensore. Dobbiamo difendere, sul piano tecnico ovviamente, un imputato reo confesso di un omicidio efferato, violento, gravissimo. Dobbiamo difendere un giovane ragazzo per aver ucciso una giovane ragazza meravigliosa, stroncandone non solo la vita fisica, ma anche i ricordi, i sogni, le speranze, i progetti», ha poi proseguito sostenendo intanto che il giovane «non ha premeditato» l’omicidio di Giulia Cecchettin.
Che «non c’è stata crudeltà» nell’atto. E che nemmeno si può parlare di atti persecutori, così come «andrebbe esclusa l’aggravante del rapporto affettivo». Un tentativo di far cadere l’aggravante della premeditazione (così come quella della crudeltà, degli atti persecutori e del rapporto affettivo) ed evitare una condanna al carcere a vita al suo assistito. Poi, tra iperboli e richiami al codice, l’avvocato difensore si è spinto in un parallelo su cui da ieri si alimenta il dibattito mediatico, coi social in prima linea: «Filippo Turetta sa che dovrà fare molti anni di galera – ha sostenuto il legale nella sua arringa – ma non è El Chapo. Non è Pablo Escobar. Non teme l’ergastolo perché da subito si è detto pronto a pagare per quanto commesso».
Parole che, evidentemente, hanno colpito al cuore Gino Cecchettin, che a distanza di ore, oggi ha affidato a un post social tutto il disappunto e l’amarezza suscitati. «La difesa di un imputato è un diritto inviolabile, garantito dalla legge in ogni stato e grado del procedimento. Tuttavia, credo che nell’esercitare questo diritto sia importante mantenersi entro un limite che, pur non essendo formalmente codificato, è dettato dal buon senso e dal rispetto umano», scrive il papà di Giulia Cecchettin, che ieri era assente durante la discussione degli avvocati Giovanni Caruso e Monica Cornaviera.
Concludendo emblematicamente: «Travalicare questo limite rischia di aumentare il dolore dei familiari della vittima e di suscitare indignazione in chi assiste». E lui, ieri, come ha confermato oggi sul web, si è «nuovamente sentito offeso» convinto che «la memoria di Giulia» sia stata «umiliata»…
E mentre gli utenti commentano e condividono le parole di Gino Cecchettin, arriva anche la replica dei difensori di Filippo Turetta alle parole del papà di Giulia. Gli avvocati Giovanni Caruso e Monica Cornaviera, hanno commentato con l’agenzia Ansa sostenendo da parte loro che «come difensori siamo assolutamente certi di non aver travalicato in alcun modo i limiti della continenza espressiva e di non aver mancato di rispetto a nessuno. Abbiamo solo svolto il nostro dovere in uno Stato di diritto».
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