A poco più di tre giorni dalla scioccante vittoria del candidato indipendente Calin Georgescu, definito di “estrema destra”, nel primo turno delle elezioni presidenziali rumene, nei palazzi di Bruxelles si è subito corsi a invocare il Digital Service Act (Dsa).
Sotto la lente d'ingrandimento ci sarebbe infatti la campagna social di Georgescu. Non più tardi di ieri Valèrie Hayer, capogruppo di Renew Europe all’europarlamento (il gruppo dei liberali di Macron e Renzi), ha chiesto al Ceo di Tiktok di “venire in questa sede e garantire che la sua piattaforma non abbia violato le disposizioni del Dsa”, aggiungendo inoltre che “la Romania è un campanello d’allarme: la radicalizzazione e la disinformazione possono avvenire in tutta Europa, con conseguenze dannose”. Parafrasando, se vinco io è democrazia, se vinci tu è “radicalizzazione e disinformazione”. Ciò che sciocca non sono le accuse in sé, in un periodo come quello attuale è più che lecito essere vigili sulla legalità dei processi elettorali, ma il fatto che vengano mosse preventivamente senza uno straccio di prova.
L’ottimo risultato di Georgescu, come sempre più spesso accade, non era stato previsto dai sondaggi, che davano invece come favorito l’attuale Primo ministro Ion-Marcel Ciolacu. A sfidare Georgescu al ballottaggio il prossimo 8 dicembre ci sarà, invece, la leader del partito di centro-destra Elena Lasconi, arrivata seconda per una manciata di voti. Forse proprio per la beffa subita, Ciolacu si è scagliato contro la campagna Tiktok di Georgescu, asserendo che l’avversario si sia servito “di un sistema, non so quanto sia legale, ma ho capito come funziona. L’origine dei finanziamenti deve essere analizzata”, per il momento poco più che illazioni insomma.
Eppure, come riportato da Politico e confermato dai servizi d’intelligence rumeni prima del voto, non si sarebbero verificate alcune falle nella sicurezza nazionale. D’altronde che il 62enne Georgescu fosse una star di Tiktok era un fatto noto già prima delle elezioni, senza dimenticare che questa e tutte le altre piattaforme sono state utilizzate da tutti i candidati. La piattaforma cinese avrà certamente fatto da cassa di risonanza per la campagna di Georgescu (come per gli altri candidati), ma ritenere che più di due milioni di rumeni (22,94%) abbiano votato un candidato solamente perché fa dei video carini su Tiktok sembra francamente assurdo. Evidentemente il suo programma deve aver trovato d’accordo una fetta consistente del Paese.
Critico della Nato, Georgescu ha comunque confermato ieri in una diretta streaming su Facebook che "non voglio abbandonare l’Alleanza atlantica né l’Unione Europea. Quello che voglio è non dovermi inginocchiare, dovremmo fare tutto seguendo i nostri interessi nazionali”. Una posizione molto simile a quella di Viktor Orbàn in Ungheria e Robert Fico in Slovacchia.
La vittoria di Georgescu al secondo turno è tutt’altro che scontata, visto che verosimilmente tutti i partiti tradizionali rumeni convergeranno sulla sfidante Lasconi, tuttavia, non si può fare a meno di notare che a differenza di tutti gli altri Paesi europei, dove la diaspora generalmente non premia i candidati di destra e/o anti-sistema, la diaspora rumena ha invece premiato Georgescu con il 43,35% delle preferenze, staccando nettamente i due rivali Lasconi (26,8%) e Ciolacu (2,9%).
Il verdetto definitivo è rimandato all’8 dicembre, tranne per Renew Europe, loro le sentenze le hanno già comminate.