«Qui ci sono gli spacciatori, mica gli “scatolettisti”, qui ci sono i pusher nigeriani e loro queste cose non le vogliono mica veder succedere. Quando c’è stato il matto che correva a cento all’ora e ha quasi tirato sotto una signora loro si sono messi in strada a far rallentare le auto, quando c’è stata una rapina qui sopra, in condominio, erano sempre loro a far sgomberare la strada. La confusione, d’altronde, fa male ai loro affari».
Graziella, della pizzeria Capri, lo spiega sorridendo, ma nel suo sguardo c’è più amarezza che ironia.
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Il racconto di via Rizzardi - e di viale Paolucci, di piazzale Giovannacci, delle strade laterali che li incrociano e li collegano - è una storia di esasperazione, fatta di tanti episodi sempre più allarmanti.
La stessa titolare dell’hotel Vienna, Caterina, aumenta il carico: «Noi siamo chiusi un mese per dei lavori di manutenzione, ma non è un caso se abbiamo scelto di farli adesso: le giornate sono più corte, il buio arriva prima, e qui con il buio c’è paura a uscire. Una mia amica, in piazza Mercato, deve lasciare sola la madre centenaria, tutte le sere, perché non se la sente di rincasare dopo il tramonto. E qui, nell’albergo, è una battaglia continua: puliamo, scacciamo i pusher, facciamo l’impossibile, ma siamo sempre più spaventati. E se lo siamo noi, cosa possono pensare i nostri clienti? Che recensioni possono lasciare online? Tutta la nostra ospitalità non ci risparmia comunque la descrizione di una zona in cui è ormai difficilissimo lavorare, vivere».
La conferma si trova poco più avanti, nel muretto della villa che affianca l’albergo, a mezzogiorno ancora puntellato dalle bottiglie e dalle lattine vuote rimaste dalla notte.
E quando sono intere significa che nessuno le ha sfasciate contro un muro: «Ogni tanto lo fanno, senza motivo, lanciano i vetri a terra o contro le porte, si credono i padroni della strada», insiste Shil, l’imprenditore di origini bengalesi che in quella zona ci ha investito tutto, essendo ormai diventato il proprietario di 12 diverse attività commerciali (11 sono barbieri e parrucchieri), «Io stesso non resto qui oltre una certa ora, me ne vado a casa prima, sono preoccupato che qualcuno mi fermi, mi faccia del male».
Gli spacciatori nigeriani si sono moltiplicati negli ultimi anni: scacciati dal quartiere Piave, messi in fuga dalla macchina dei controlli delle forze dell’ordine, hanno cercato un nuovo territorio da fare loro e l’hanno trovato semplicemente scavalcando i binari ferroviari che segnano il confine tra Mestre e Marghera; anzi, passandoci sotto, grazie a quel tunnel ciclopedonale che collega via Dante e via Rizzardi e che, pur tempestato di telecamere, continua a essere teatro di aggressioni e rapine, la più recente solo la scorsa settimana.
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Se è vero che, molto spesso, gli stessi pusher hanno tutto l’interesse a mantenere un basso profilo, a non attirare attenzioni indesiderate nel luogo dove “lavorano”, i mesi recenti hanno visto comunque emergere fino alle cronache dei casi particolarmente allarmanti: le auto incendiate a colpi di molotov in via don Orione, che sono state lette come una ritorsione legata proprio allo spaccio di droga; l’uomo di origini tunisine ferito a pugnalate due settimane fa, tra via Paleocapa e piazzale Parmesan, anche lui probabilmente rimasto coinvolto in un regolamento di conti. E ci sono i casi che non arrivano neppure sulle pagine dei giornali, ma che riempiono comunque le discussioni dei residenti: gli stessi lagunari che lunedì sono intervenuti per soccorrere i due accoltellati e bloccare gli aggressori avevano fatto lo stesso la settimana scorsa, trovandosi costretti a tamponare un altro squarcio aperto da una lama.
Le forze dell’ordine ci sono, se la Jeep dell’esercito intercetta questi episodi è perché taglia via Rizzardi di continuo: «Passa ogni dieci minuti», conferma ancora Graziella, «Il problema è che gli spacciatori hanno le vedette, si nascondono. E tornano subito fuori».
Anche la polizia è sempre sul posto, così come gli uomini della Locale, che hanno inseguito gli stessi pusher da Mestre a qui. Ma dopo il fermo e l’arresto c’è la denuncia a piede libero, e tutto riparte da capo.
«Cosa è successo? Il solito: qui c’è sempre la polizia impegnata per qualcosa», spiegava martedì mattina una mamma in risposta alle domande del figlio piccolo, incuriosito dai lampeggianti di nuovo fermi davanti all’hotel Colombo. Poi ha accelerato il passo.