Il suo legame con il territorio è intenso. E sabato Elisabetta Sgarbi sarà di nuovo a Gorizia, con cui racconta di avere rapporti “molteplici e antichi”, per ritirare il premio Amidei “alla cultura cinematografica”. L’appuntamento è in programma al Kinemax, alle 20: con l’editrice e regista dialogheranno il giornalista Gian Paolo Polesini e Tatjana Rojc, senatrice e scrittrice. A seguire si potrà assistere a “Il viaggio della signorina Vila” e a “L’altrove più vicino”.
Già per le 17.30, tuttavia, si potrà vedere un altro lavoro di Elisabetta Sgarbi: “I nomi del signor Sulčič”. Tutti gli eventi hanno ingresso gratuito. Al di là del premio Amidei, l’editrice non entra nel merito dell’organizzazione di Go!2025, ma non si sottrae a riflessioni sull’area transfrontaliera, al centro di molte sue attività.
Cosa rappresenta la Capitale europea della Cultura?
«Sposai con entusiasmo questa candidatura con La Milanesiana, il festival che ho fondato e dirigo da 26 anni. Portai questa candidatura nel cuore pulsante di Milano, alle Gallerie d’Italia, avendo io lavorato molto, sia nel cinema sia nell’editoria, proprio sulla storia e sul presente del confine tra Italia e Slovenia, tra Italia e Jugoslavia. Considero questo riconoscimento una straordinaria opportunità culturale e politica per riscattare un passato a volte tragico».
Quindi già nel 2019, in quella Milanesiana, credeva in Go!2025?
«Sì, l’ho detto e lo ripeto. Era una candidatura che esprimeva appieno il senso di Capitale della cultura europea. Quel confine, spesso tragico, cessa di essere muro e diventa ponte. Nei ponti non si cancellano le identità, ma le identità si parlano, si scambiano, diventano organismi mobili, si mettono in gioco, ma possono diventare anche più certe di sé stesse. La cultura slovena, lo dico da editore, è in Italia pochissimo conosciuta, eppure esprime capolavori assoluti, anche oggi, non solo nel passato. Il mio amore per Trieste e Gorizia è immediato, ma per la Slovenia sento una attrazione e una curiosità profonde. Vorrei che si facesse di più per conoscere il nostro confine orientale. In una pagina del suo diario scriveva Marisa Madieri una frase (forse una speranza, più che una constatazione) che amo molto, e che ama molto Claudio Magris: Ovunque la vita si rinnova. È tempo di Mare d’Istria e boschi di Slovenia».
Lei si è occupata, con la macchina da presa, dell’arte transfrontaliera, della Slovenia? Perché questo interesse? Dove nasce?
«Nasce da lontano. Da una committenza di un amico scrittore e intellettuale, allora presidente di RaiCinema, Franco Scaglia. Aveva avviato un progetto sulle città europee di frontiera, e io scelsi Trieste. Lavorando su Trieste, mi appassionai molto alla comunità slovena di quella città. E allora dopo Trieste chiesi la possibilità di varcare il confine e di lavorare sulla Slovenia tout court. Anche con La nave di Teseo posso essere orgogliosa di pubblicare autori di frontiera e sloveni come Pahor, Rebula, Drago Jančar, Lojze Kovačič. Auspico di pubblicare un giorno le opere poetiche e in prosa di Kosovel. Autori che andrebbero letti di più da noi».
E tra i suoi amici goriziani c’è il pittore e incisore Franco Dugo. Può raccontare il vostro rapporto?
«Ho una sconfinata ammirazione per lui, indotta certamente da mio fratello Vittorio che lo scoprì e me lo fece scoprire, ma anche da mia madre Rina che lo amava molto. A Milano, sempre nella Milanesiana, alla Galleria Jannone, promossi una mostra delle sue opere proprio per fare conoscere una eccellenza di Gorizia, che secondo me ha un valore universale. Ho i suoi dipinti in casa, ci sentiamo poco, ma lui vive con me tutti i giorni».
Quale significato ha il premio Amidei “alla cultura cinematografica”?
«Sergio Amidei è stato un grande sceneggiatore, cui si devono capolavori assoluti. È per me un onore essere associata al suo nome in questo riconoscimento. Il cinema per me è una magnifica ossessione e cerco di farlo, ma anche di diffonderlo editorialmente attraverso libri di e su personalità del mondo del cinema». —