C’era una volta il Lula sindacalista, il leader agitatore delle piazze che arringava il popolo contro il sistema. Oggi, il presidente del Brasile si presenta in una veste che lascia perplessi anche i suoi sostenitori più fedeli: quella di un politico che abbraccia simboli religiosi, si rivolge alle chiese e strizza l’occhio a quelle comunità evangeliche che, fino a ieri, guardavano a Jair Bolsonaro come il loro naturale difensore. La recente sentenza della Corte suprema brasiliana, che legittima la presenza di crocifissi e simboli religiosi negli edifici pubblici, è solo l’ultimo atto di un percorso politico che sta ribaltando vecchie certezze.
Con un voto che ha già raggiunto la maggioranza prima della conclusione ufficiale del processo, i giudici della Corte Suprema hanno stabilito che i crocifissi non violano i principi di laicità dello Stato brasiliano. Il relatore del caso, il giudice Cristiano Zanin, ha precisato che questi simboli, quando esprimono la tradizione culturale della società, non possono essere considerati una minaccia alla libertà di credo. «La presenza di simboli religiosi negli edifici pubblici, purché abbia l’obiettivo di manifestare la tradizione culturale della società brasiliana, non viola i principi di non discriminazione, laicità dello Stato e impersonalità», ha dichiarato Zanin, aprendo la strada a un consenso che ha unito figure come Flávio Dino, André Mendonça, Dias Toffoli, Gilmar Mendes ed Edson Fachin.
Tra i giudici, anche Fachin ha sottolineato che «la presenza del crocifisso negli spazi pubblici sia una manifestazione culturale e non vedo una violazione della libertà di credo e di coscienza e della laicità dello Stato». Un giudizio che genera dibattito ben oltre i confini del Brasile e fa già mettere le mani fra i capelli alla sinistra italiana.
Mentre la Corte Suprema sanciva questo principio, Lula aveva già fatto le sue mosse. Non è un caso che, solo poche settimane fa, il presidente abbia dichiarato durante un comizio: «Nessuno è stato più di sinistra di Gesù Cristo. Nessuno. Nessuno lottò più di lui per i poveri e proprio perché si prese cura degli ammalati e aiutò i più bisognosi che i ricchi di allora ordinarono che fosse crocifisso». Parole pronunciate nel municipio di Camaçari, nello stato di Bahia, che rompono con la tradizione di una sinistra brasiliana spesso allergica alla retorica religiosa. Ma Lula non si è fermato qui. La recente istituzione della Giornata nazionale della musica Gospel, fissata per il 9 giugno, rappresenta un altro segnale chiaro. Non si tratta di celebrare una tradizione musicale, ma di accaparrarsi i voti dei credenti.
Le comunità evangeliche, che rappresentano un serbatoio elettorale fondamentale, sono il nuovo terreno di conquista per un Lula che vuole recuperare consenso dopo le elezioni amministrative di ottobre che avevano visto un successo della destra. Come sottolineato dal politologo Jairo Nicolau, «le elezioni mostrano un Brasile conservatore». Un’opinione condivisa anche da Malu Gaspar, editorialista del Globo, che ha evidenziato «la forza di Bolsonaro» e del suo elettorato. Lula lo sa bene e, con questa mossa, cerca di penetrare in un campo finora dominato dalla destra.
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