“La politica è finita, adesso bisogna tornare alla filosofia”, così Augusto Del Noce al figlio un mese prima di morire. Era il 1989, l’anno della caduta di Berlino. E forse è proprio questo il senso ultimo del saggio di Luciano Lanna sul grande filosofo torinese, Attraversare la modernità. Il pensiero inattuale di Augusto Del Noce (edizioni Cantagalli), che ci restituisce una visione non convenzionale e forse definitiva di uno dei massimi pensatori della seconda metà del Novecento. Frutto di un lavoro di ricerca di lunga data, l’opera di Lanna, saggista, giornalista, oggi direttore del Centro per il libro e la lettura del ministero della Cultura , “costruisce” un Del Noce inatteso, a 35 anni dalla scomparsa e a 60 anni dalla pubblicazione della sua opera principale, Il problema dell’ateismo. Il saggio, con la prefazione di Giacomo Marramao, include anche un testo inedito del 1961, in cui il filosofo riassumeva in una sintesi unitaria le direttrici della sua ricerca.
Pagina dopo pagina, ripercorrendo la vicenda biografica, le frequentazioni culturali più diverse, gli studi febbrili di un pensatore “fuori dalla squadra”, emerge un filosofo tutt’altro che tradizionalista, reazionario, antimoderno, come ‘prevede’ una vulgata decennale che lo ha costretto nell’abito del “pensatore cattolico”. La sua è una filosofia in presa diretta con il suo tempo, il pensiero è nel presente ma non è mai ostaggio dell’attualità. Animato da una profonda fede, certo, convinto che la ragione non fosse il destino dell’Occidente, che la Chiesa, come lascito nella storia di una scintilla trascendente, dovesse fare da diga alla secolarizzazione che si affacciava prepotente negli anni 60, ma anche cresciuto nell’ambiente laico e vivace della Torino degli anni Venti e Trenta. Così vivace da condurlo a fare i conti con Marx, a trovare corrispondenze profonde con il Pasolini corsaro ed eretico, a scandagliare ateismo e immanentismo e senza abbandonare l’ancoraggio alla tradizione. Che in Del Noce è denuncia sterile della deriva secolarizzata, né indignazione moralistica, né nostalgico abbandono all’archetipo di una mitica età dell’oro.
“Pioniera” la sua visione del superamento dell’antifascismo per una pacificazione nazionale utile all’Italia. Già nel 1945 – ci ricorda il saggio di Lanna – Del Noce auspicava un superamento dell’antifascismo che percepiva come un totalitarismo di segno opposto di stampo giacobino. Convinto fin da allora che la Resistenza non potesse essere la rifondazione morale degli italiani, all’azionismo rimproverava un atteggiamento speculare a quello dell’avversario. “Sradicare il fascismo gli sembrava liberticida” , perché libertà è la parola chiave per comprendere l’inattualità ‘arci-moderna” del filosofo. La critica severa del secolarismo come nuovo totalitarismo, senza avere neppure la potenza tragica di quelli passati, lo accomuna al Pasolini corsaro. Non tanto quello che avrebbe dato l’intera Montedison per una lucciola, non quello della nostalgia per un mondo rurale precapitalistico, ma quello degli Scritti corsari con la loro spietata fotografia della società emergente, la futura società radicale, che segna la sconfitta della politica.
La rivoluzione dei costumi descritta da Pasolini, nume ingombrante per il Pci, è straordinariamente vicina alla “Società opulenta” e all’analisi dell’irreligione occidentale di Del Noce. Proprio il regista friulano, culturalmente laico e di sinistra, confermava le diagnosi del cattolico Del Noce con la sua interpretazione transpolitica della storia contemporanea. Il nuovo potere denunciato da Pasolini era falsamente tollerante e più repressivo che mai. Potente e profetica la descrizione della minaccia della “irreligione occidentale” che sostituisce il culto dell’edonismo a qualsiasi autorità spirituale superando quanto a nichilismo perfino le religioni surrogate che avevano infiammato l’inizio del secolo scorso. In questo senso “l’Occidente è la piena secolarizzazione del marxismo e insieme la sua piena realizzazione”, ‘scopre’ Del Noce. Preoccupato negli anni ’80, da un Pci pronto a farsi partito radicale di massa, fu protagonista di una crociata culturale contro il “circolo di Repubblica” creatosi intorno al direttore Scalfari, espressione di una nuova borghesia allergica a qualsiasi autorità religiosa e che, come puntualmente avvenuto, avrebbe emarginato “i superstiti credenti in una autorità trascendente” confinandoli ” in campi di concentramento morali”.
Di grande interesse i lunghi e illuminanti passaggi che l’autore dedica alla visione dell’ucronia. L’approccio ucronico mutuato da Renouvier permette a Del Noce di superare la visione illuministica e deterministica di una storia lineare tesa come una freccia verso un progresso progressivo che conduce a un mondo migliore. È un percorso obbligato che non prevede la possibilità, la scelta, in una parola la libertà umana. Invece nel presente coesistono, come le ramificazioni di un unico albero, tante potenzialità inespresse, una infinita possibilità di libere scelte, che demoliscono la tirannia del fatto compiuto. Grazie al paradigma dell’ucronia ogni futuro è possibile e la storia diventa un’esegesi aperta.
Non poteva mancare in questa straordinaria ermeneutica della modernità la minaccia profetica della globalizzazione, l“unificazione del mondo”, espressione di quella società radicale destinata a scivolare nella tecnocrazia. Ma di fronte al nuovo mondo non si scappa, suggerisce il filosofo, ci si adegua “per volgerlo al meglio”. La risposta, potremmo dire provocatoriamente, è “ultramoderna”, di certo né reazionaria né bigotta. Non è la fuga dell’individuo dalla storia, né il richiamo a valori eterni o all’indignazione moralistica ma il rovesciamento di qualsiasi determinismo storicistico per una dinamica congiunzione tra libertà e storia, perché la storia senza Dio è confusione, è destinata al non senso. Bisogna tornare alla filosofia dunque, si diceva all’inizio, per uscire dalla barbarie del nichilismo.
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