«Non so cosa ho fatto, ma si è sballata l’ora sul telefono».
La signora Adriana Bevilacqua si avvicina all’edicola di Leonardo Moretti, nel cuore verde di Sant’Elena, per farsi aiutare a sistemare il suo Nokia. Lui è abituato, d’altronde è un presidio sociale, un punto di riferimento soprattutto per i tanti anziani soli che possono contare sulla sua presenza, una delle poche rimaste.
«Qui, una volta non era così» spiega la signora, 81 anni di cui gli ultimi 64 trascorsi nella punta orientale della città. «Sant’Elena è irriconoscibile, una volta era piena di negozi, ora stanno chiudendo tutti» aggiunge, prima di tornare verso casa.
Circa un anno fa ha abbassato definitivamente la saracinesca l’alimentari, ora tocca alle Poste. I tanti anziani, molti dei quali soli, si chiedono come faranno a ritirare la pensione, dovendo andare in via Garibaldi o al Lido.
«Un’idea pessima» aggiunge il residente Luca Muscarà, «viene a mancare un servizio essenziale, considerando poi che non abbiamo uno sportello bancario» fa notare.
Un ostacolo, soprattutto per chi fa fatica a camminare. Un disagio ancor più nei mesi estivi, con i vaporetti presi d’assalto tra chi va in spiaggia e chi alla Biennale. Nonostante la decisione di Poste Italiane sembri incontrovertibile, cittadini e commercianti non ci stanno e hanno avviato una raccolta firme nei (pochi) negozi rimasti, estendendola anche alle zone limitrofe, da Sant’Anna fino a San Pietro e San Giuseppe, superando in poche settimane le 300 firme.
A farsi carico della vicenda, anche il consigliere fucsia Alessandro Scarpa, con delega alle isole.
«Bisogna salvare l'ufficio postale» dice senza mezzi termini, «sono disposto a fare di tutto per garantire ai cittadini il servizio, siamo pronti al dialogo» aggiunge, tant’è che lunedì pomeriggio in commissione consiliare si discuterà anche di questo tema.
Le chiusure dei negozi, i servizi che vengono meno, di certo non incentivano la popolazione a restare a Sant’Elena.
«D’altronde, vanno anche a cercarsela» ammette il fruttivendolo Stefano Vianello, «gli affitti spesso sono troppo cari, è ovvio che i commercianti non ce la facciano. Anche noi stiamo in piedi grazie al turismo, se dovessimo contare solo sui residenti, forse avremmo già chiuso». Un cittadino, con tanto di sacchetto con la verdura in mano scuote la testa: «Quei residenti che si sentono abbandonati a loro stessi spesso spesso sono i primi a non comprare nei negozi locali, a non sostenerli. Dovremmo fare tutti di più».
Che la situazione sia difficile, sia per i residenti che per i titolari delle attività, non ci piove.
«È fondamentale che i servizi non vengano ridotti, per permettere alle persone di restare» ribadisce il panettiere Vincenzo De Laurentis, che ha aperto il suo negozio nel 2016. «Ho due bambine» dice, «ma qui il pediatra non c’è, sta al Lido, è una scomodità perché non è come in terraferma dove carichi la bambina che non sta bene in macchina e scendi davanti all’ambulatorio».
Per Gina Minorello e il marito Massimo Smagnotto, gestori della macelleria, il comune dovrebbe innanzitutto aprire le tante case pubbliche sfitte e darle ai cittadini con un affitto calmierato, in modo da ripopolare il quartiere. E, di conseguenza, la città.