Con l’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca si è completato il quadro delle personalità forti alla guida delle grandi nazioni: Vladimir Putin in Russia, Xi Jinping in Cina, Recep Tayyip Erdogan in Turchia, Narendra Modi in India, Luiz Inácio Lula da Silva in Brasile, solo per restare alle nazioni più grandi e popolose. Autocrati, dittatori o presidenti democratici, ma tutti espressioni dell’Uomo forte, saldamente al potere da svariati anni o tornati alla guida della nazione dopo un’interruzione. Lo scenario mondiale è contrassegnato da leadership robuste e tendenzialmente durature. Invece l’Europa vive da anni ormai una parabola di storica debolezza e di assenza di leadership. Non ha un vero leader che la guidi e la rappresenti, sia che ci si riferisca all’Unione europea e alla sua commissione, sia che si prendano in considerazione i singoli Paesi. I due Stati più influenti, la Germania e la Francia, sono guidate da figure deboli e logorate, sull’orlo della destituzione, con un livello così basso di consensi come non è mai accaduto. E anche altre nazioni europee sono in condizioni di fragilità politica, a partire dalla Spagna. Da una parte Ursula von der Leyen, dall’altra Olaf Scholz, Emmanuel Macron, Pedro Sánchez sono tutt’altro che figure salde alla guida dei loro paesi; esprimono leadership scialbe che non sanno imporsi sullo scenario internazionale.
In questo contesto, il governo più solido tra i Paesi fondatori dell’Europa è proprio quello italiano: Giorgia Meloni sembra saldamente in sella, ha una maggioranza netta e abbastanza coesa che non è frutto di compromessi e accordi provvisori, come succede negli altri Stati europei. Nel resto d’Europa il governo più solido e duraturo, che gode di maggiori e reiterati consensi popolari, è quello ungherese, finora confinato nella black list europea, di Viktor Orbán. Ma il quadro generale è davvero desolante, e rispecchia l’assenza di autorevolezza e di autonomia sullo scenario internazionale, la mancanza di una strategia geopolitica e militare e di una linea propria. Eppure il vento che soffia nel mondo è alla ricerca di leadership salde, in grado di affrontare le turbolenze, i rischi e i contrasti sullo scenario internazionale.
Finora abbiamo considerato la mancanza di un uomo forte come un segno di superiorità della democrazia liberale e parlamentare europea rispetto ai Paesi che hanno bisogno di un regime, di un autocrate, di un «padre». Abbiamo considerato l’Europa come una specie di «Ztl del pianeta», non solo nel senso del centro storico ma anche della zona abitata dall’élite liberale del mondo, la più avanzata sul piano dei diritti. Ma è sempre più evidente la sua irrilevanza sullo scenario mondiale, la sua incapacità di incidere e di influenzare, o anche solo di delineare una sua linea e di tutelare i suoi interessi; si fa trascinare da altri soggetti internazionali (come la Nato o gli Stati Uniti) e non difende né sorveglia i suoi confini, la sua sovranità e la sua civiltà. È inefficace nel fronteggiare le situazioni di crisi: i flussi migratori clandestini, il terrorismo islamico, la concorrenza cinese, i rischi di conflitti alle sue porte. E poi l’Europa sembra quasi vergognarsi della propria civiltà, della sua storia, delle sue tradizioni religiose, del suo passato coloniale. In compenso, dopo decenni di disarmante pacifismo, ha imboccato la pericolosa china del bellicismo e dell’interventismo militare, a rimorchio della strategia Nato-Stati Uniti sul fronte russo.
In Europa si guarda preoccupati all’Uomo forte della Casa Bianca, e si dà una lettura autoritaria e minacciosa del suo avvento alla guida della superpotenza americana. Ma Trump si presenta, al contrario, come l’Uomo forte che vuole frenare le guerre nel mondo e dunque i rischi di una Terza guerra mondiale; vuole arginare la censura alla libertà di pensiero e di opinione in atto negli Usa e non vuole varcare i confini nel nome dell’interventismo americano, pensando al contrario di concentrarsi sul proprio Paese. Trump ha scelto una missione di pace e di libertà, esattamente opposta a quella che viene solitamente attribuita alla personalità autoritaria al potere, pur non essendo un presidente pacifista e liberal ma un realista pragmatico e un patriota neocons. Non si tratta di una pura enunciazione di buone intenzioni perché già nel precedente mandato fu coerente a questa linea: con la sua amministrazione non ci furono guerre con la partecipazione o il patrocinio degli Stati Uniti, non ci fu censura verso chi aveva opinioni diverse da quelle del governo e tantomeno «persecuzione» dell’opposizione interna; e fu limitata l’ingerenza «umanitaria» degli Stati Uniti nel mondo, quella forma di colonizzazione «per il bene dell’umanità» che caratterizza solitamente l’interventismo democratico e progressista. Stavolta Trump pensa di andare oltre, e di mettere fine alla guerra tra Russia e Ucraina; di fermare la censura in atto negli Stati Uniti e di invertire la rotta dell’americanizzazione del pianeta, frenando la globalizzazione con i dazi e l’economia protetta.
L’Europa invece è ancora ferma al film precedente, è mentalmente rimasta all’era Obama-Biden, e non ha mai elaborato una risposta autonoma e sovrana ai grandi equilibri internazionali e alla globalizzazione, limitandosi a seguire il loro solco. Avrebbe bisogno di una leadership forte e lungimirante, capace di esprimere decisioni sovrane e di inserirsi tra i Grandi della Terra con una sua posizione autorevole. Nell’era dell’Uomo forte, l’Europa è l’anello debole.