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Cop29 a Baku, dai paesi ricchi pochi soldi al Sud del mondo. “Uno sputo in faccia alle nazioni vulnerabili”

I paesi ricchi sono intenzionati a dare 250 miliardi di euro all’anno entro il 2035 al Sud del mondo. Una somma che, già lontana anni luce dalle esigenze e dalle istanze dei Paesi poveri e in via di sviluppo, include anche le risorse mobilitate nella finanza privata. La Cina e le altre potenze emergenti sono invitate a contribuire volontariamente.

Rabbia e amarezza si respirano a Baku, in Azerbaigian, dopo la pubblicazione dell’ultima bozza che riguarda il nuovo obiettivo internazionale di finanza climatica. Troppo lontano non solo dal trilione, ma anche da quei 500 miliardi all’anno chiesti negli ultimi giorni dai Paesi in via di Sviluppo. E la somma non è l’unico problema, come si evince dalle prime reazioni. In attesa di una plenaria prevista alle 22 ora locale e che, comunque, non potrà sciogliere i nodi prima di sabato 23 novembre.

Il giorno dopo la naturale chiusura della Cop. “Uno sputo in faccia a nazioni vulnerabili come la mia” ha definito la bozza, il capo negoziatore di Panama, Juan Carlos Monterrey Gómez. E ancora: “Scandaloso, malvagio e spietato”. Per il ministro australiano per i cambiamenti climatici, Chris Bowen, si tratta invece di un “tentativo autentico”. “C’è stato un forte sforzo per cercare di ottenere un quantistico ambizioso e realizzabile” ha detto. Eleonora Cogo, esperta senior di finanza internazionale del think tank Ecco Climate ha fatto il punto con i giornalisti, con in mano due documenti, quello sul nuovo goal di finanza climatica e quello sul Global Stocktake, il bilancio globale (sottoscritto per la prima volta lo scorso anno a Dubai) sulle azioni intraprese e da intraprendere per evitare il collasso climatico. Sintetizza molto chiaramente il contenuto della bozza sul goal di finanza: “Ambizione minima, al minimo comune denominatore”.

Il goal di finanza internazionale: dai paesi ricchi solo 250 miliardi – Dopo i primi paragrafi dedicati al contesto e alle necessità, in quelli che descrivono la formulazione del nuovo Obiettivo di finanza collettiva si invitano “tutti gli attori a collaborare per consentire l’aumento ‘graduale’ dei finanziamenti ai paesi in via di sviluppo per l’azione per il clima “da tutte le fonti pubbliche e private fino ad almeno 1.300 miliardi di dollari l’anno entro il 2035”.

Solo che le cifre relative al finanziamento di base da parte dei Paesi ricchi, il primo passo verso l’obiettivo di 1,3 trilioni di dollari, sono significativamente inferiori a quelle richieste dai paesi in via di sviluppo. Per i Paesi sviluppati si fissa un obiettivo di 250 miliardi di dollari l’anno (da raggiungere sempre entro il 2035, ossia tra 11 anni). Fino al 2025 la cifra da raggiungere è di 100 miliardi di dollari all’anno, target centrato solo nel 2022, ma il quantum del documento è molto lontano rispetto a quanto era stato chiesto ai Paesi ricchi. Uno a zero per il Nord del mondo. “Al momento non c’è un processo che ci porti ai 1.300 miliardi di dollari di aiuti finanziari per il clima, spiega Eleonora Cogo, a meno che non si vada a vedere, con sguardo molto più ampio, quello che fa il settore privato al di fuori di quello che fanno i Governi”.

L’ambiguità tra pubblico e privato – E questo è un altro punto critico. Restano una serie di ambiguità, per esempio sul bilanciamento tra fondi pubblici e privati. I Paesi poveri e in via di sviluppo avevano chiesto che ci fosse uno ‘zoccolo duro’, una base solida di finanziamenti pubblici, secondo questo testo le cifre indicate (sia 1,3 trilioni, sia i 250 miliardi che dovrebbero arrivare dai Paesi ricchi) potranno includere “un’ampia varietà di fonti, pubbliche e private, bilaterali e multilaterali, comprese fonti alternative”. La cifra dovrebbe rappresentare le risorse pubbliche e quelle private mobilitate grazie alle pubbliche. Due a zero per i Paesi ricchi.

“Abbiamo bisogno di un nucleo di finanziamenti pubblici più vicino a mille miliardi di dollari, insieme a finanziamenti aggiuntivi da altre fonti, per alimentare i cambiamenti trasformativi necessari per limitare il riscaldamento a 1,5 gradi centigradi e aumentare la resilienza climatica” spiega la responsabile Clima ed Energia del Wwf Italia, Mariagrazia Midulla. Per quanto riguarda la base dei donatori, al momento la Cina ottiene che nella bozza ci sia l’invito ai paesi in via di sviluppo a fornire ulteriori contributi, anche attraverso la cooperazione Sud-Sud, per raggiungere o integrare l’obiettivo. Viene riconosciuta l’espansione della base dei donatori, dunque, ma solo su base volontaria. Ma per raggiungere i 250 miliardi di euro? “Anche in questo caso c’è ambiguità” replica Eleonora Cogo.

“Aspettiamo maggiore ambizione” – Nel testo, inoltre, non c’è un target preciso sull’adattamento e sul fondo per le perdite e i danni (Loss and damage), anche se entrambi vengono richiamati. “Tutta la parte relativa alla qualità della finanza è molto più annacquata rispetto all’ultima bozza, ci sono solo richiami generici mentre è scomparsa l’agenza di riforma dell’architettura finanziaria” spiega Cogo.

Il testo, infatti, riconosce i vincoli fiscali e i costi crescenti per adattarsi agli effetti negativi del cambiamento climatico e, in questo contesto, anche “la necessità di risorse pubbliche e basate su sovvenzioni e di finanziamenti altamente agevolati, in particolare per l’adattamento e la risposta alle perdite e ai danni nei paesi in via di sviluppo”.

Ma cosa fare, in concreto, per evitare gli errori del passato, ossia che i prestiti contribuiscano ad aggravare i debiti dei Paesi più vulnerabili? La bozza certamente non lo chiarisce. “Ci auguriamo che la presidenza approfitti delle prossime ore per lavorare su un testo un poco più ambizioso. Dalle nostre stime, era possibile arrivare almeno a 300 miliardi di euro. E sarebbe davvero il minimo, considerando che includerebbe anche le banche multilaterali di sviluppo” aggiunge Cogo. Va sottolineato che alla Cop29 il gruppo G77 ha affermato di non voler lasciare Baku senza un quantum chiaro e senza un obiettivo di mobilitazione di almeno 500 miliardi di dollari, anche se da giorni è nell’aria che il compromesso avrebbe portato a cifre più basse.

Rabbia e amarezza del Sud del mondo – L’Alleanza dei piccoli stati insulari in via di sviluppo (Aosis) si dice profondamente delusa. E chiede: “Quanto in basso si può scendere sulle ambizioni climatiche?”. Il testo, tra l’altro, ignora la richiesta di destinare 39 miliardi di dollari ai Sids (Piccoli stati insulari in via di sviluppo) e almeno 220 miliardi di dollari per i Paesi meno sviluppati.

Per Vaibhav Chaturvedi, ricercatore senior del Consiglio per l’energia, l’ambiente e l’acqua in India la cifra dei 250 miliardi di dollari “è la stessa dei 100 miliardi attuali se si tiene conto di un’inflazione media annua del 6%”. Per Ali Mohamed, inviato speciale del Kenya per la presidenza del Gruppo africano dei negoziatori il testo è “totalmente inaccettabile e inadeguato”, dato che l’Adaptation Gap Report afferma che solo “le esigenze di adattamento ammontano a 400 miliardi di dollari”.

Tina Stege, inviata per il clima delle Isole Marshall ha ricordato che “viene offerta solo una frazione di ciò che il mondo ha speso per la guerra nell’ultimo anno”. “Nessun sotto-obiettivo o soglia minima, ha aggiunto, nessuna definizione di finanza climatica. Nessuna chiarezza o responsabilità su dove arriveranno o andranno i soldi”. Poca chiarezza, a dire il vero, c’è anche sulla ‘transizione via dalle fonti fossili’. Non c’è alcun passo in avanti, anche se resta il riferimento in uno dei testi negoziali a quella frase introdotta alla Cop28 di Dubai, dopo trent’anni di attesa.

L'articolo Cop29 a Baku, dai paesi ricchi pochi soldi al Sud del mondo. “Uno sputo in faccia alle nazioni vulnerabili” proviene da Il Fatto Quotidiano.

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