Ha fatto il bagno anche quest’estate a Grado e poi l’aperitivo con le amiche. Stiamo parlando di Rina Micon Torossi e dei suoi eccezionali – e sorridenti – cento e quattro anni. Una cifra irresistibile e piena di fascino se a portare questa lunga vita è stata lei, l’interprete udinese di Ernest Hemingway, seduta accanto a lui, in quel famoso pranzo friulano, datato 1954, tra giornalisti ed amici, immortalato dallo scatto veloce di Tino da Udine.
Rina Micon, brillante e appassionata insegnante di tedesco e francese per molti anni all’istituto cittadino Zanon, se n’è andata qualche giorno fa. Una fulgida carriera in campo scolastico. «Mia mamma – racconta la figlia Isabella – era molto orgogliosa del suo essere insegnante, lo faceva con dedizione e impegno. Era una donna brillante – prosegue –. Aveva una grande personalità in cui convivevano la bontà d’animo e una lucidità di pensiero cristallina. Il suo stile di vita era dare tutta se stessa, però pretendeva altrettanto dalle persone con cui aveva un legame profondo».
Il suo è un racconto unico, specialissimo, sul Novecento italiano, che lei ha attraversato «da donna colta, intelligente, dinamica, aperta al mondo e alle sue curiosità infinite», come scrive Paolo Medeossi, in una delle sue dediche emozionanti alla vita di Rina. Legatissima alla sorella Carmen, pittrice e ceramista “dimenticata”, come annota con dispiacere Isabella, Rina è insieme a lei nel famoso scatto, datato 9 aprile 1954, all’albergo Friuli a Udine in piazza XX Settembre.
Rina, sottile ed elegante, ha già girato l’Europa per imparare le lingue, ed è lì sorridente e capace interprete, insieme allo scrittore, amico dei Kechler e di queste languide terre “di là dal fiume e tra gli alberi”, intorno a un tavolo dove compaiono indimenticabili giornalisti come Piero Fortuna, Vittorino Meloni, Isi Benini e altrettanto indimenticabili architetti, i fratelli Valle (Nani e Gino Valle) e Aldo Bernardis. Insieme a loro c’è Adamo De Simon, il fedele autista friulano di Ernest, che tanto raccontò del loro fortunato incontro che gli girò il destino.
«Mia mamma ha affrontato la sua lunghissima e ricca esistenza con grinta e coraggio – sottolinea Isabella, e ricorda episodi della sua biografia legati alle difficili condizioni belliche in cui studiò, nel 1944 e 1945 ad esempio, «in cui anche gli spostamenti in treno, da Udine a Venezia, erano pericolosi», tanto che Rina decise con fermezza di cambiare e di terminare gli studi universitari a Napoli. E soprattutto, annotiamo, dopo essere stata da sola a Monaco a perfezionare il tedesco, in un clima non spensierato come quello bellico, in cui «dall’università Ca’Foscari non le fu nemmeno riconosciuto il periodo all’estero».
Il padre di Rina, Cesare Micon, era di Palmanova, discendente di una famiglia che era stata tra le fondatrici della fortezza. La mamma, Teresa Ligugnana, era di origini portogruaresi, e la nonna Virginia era rampolla della dinastia dei Querini Stampalia, centrale nella storia veneziana (tra dogi e altre imprese, come il fatto che un antenato, Pietro, fu colui che importò il baccalà dalla Norvegia dopo un naufragio).
Rina è cresciuta tra gli artisti, come sottolinea anche la figlia. Teresina creava arazzi, tappeti e bambole e aveva un negozio di mercerie in via Gemona. Cesare, ebanista e disegnatore, insegnava alla Scuola d’arti e mestieri e suonava più strumenti. Carmen, l’amatissima sorella, era talentuosa artista.
Rina dopo la laurea cominciò la sua carriera da insegnante prima al Malignani, alla media Crispi e in seguito all’istituto Zanon dove insegnò, tranne un breve periodo a Bolzano, lingua francese fino alla pensione. Si sposò nel 1957 con l’ingegner Gianfranco Torossi (che, segretario provinciale del PSI, fu anche assessore comunale accanto al sindaco Zanfagnini), e dalla loro unione è nata Isabella. Rina Micon era riservata, come suggeriscono le intime parole della figlia pronunciate durante la cerimonia funebre, svolta nella chiesa di San Quirino a Udine martedì 19 novembre. «Ci hai fatti partecipi di un mondo che è possibile e accessibile soltanto a pochi, attraverso la tua grazia, gentilezza e sincerità»