Chi doveva sapere, con molta probabilità già sapeva. Mercoledì, giornata dello sgombero da Porto vecchio, in pochi minuti i migranti accampati in largo Santos a Trieste si sono messi in fila, con i documenti e le richieste di asilo in mano, e per allora nei magazzini del Porto Vecchio non erano rimaste che una manciata di persone.
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In molti erano stati avvisati dell’operazione dagli stessi volontari che tutte le sere offrivano loro cibo e coperte. Per molti dei richiedenti asilo la prospettiva di un trasferimento in un centro fuori regione doveva essere molto meglio delle miserevoli condizioni in cui erano costretti da settimane.
Alcuni avrebbero preferito recuperare i vestiti lasciati nel vicino centro diurno, o semplicemente restare a Trieste, ma in città i posti in cui dormire semplicemente sono tutti pieni. Le operazioni si sono svolte senza registrare disordini.
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Chi invece non aveva intenzione di entrare in un circuito di accoglienza, essere trasferito o anche solo farsi identificare, non si è fatto trovare. È andato via, una delle tante piccole sagome che mercoledì all’alba si potevano scorgere in fondo ai corridoi degli hangar, oltre alle transenne dei cantieri.
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Appena la sera prima dell’intervento, gli operatori dell’Unhcr avevano battuto i tanti fabbricati dello scalo, raccomandando a chi vi era alloggiato di presentarsi in largo Santos al mattino dopo, per essere identificato e trasferito fuori città. Quando la Polizia ha pattugliato gli hangar 1a e 4, tra i più popolati, all’interno erano rimaste solo poche persone, alcune già richiedenti asilo.
Ma in quei magazzini abitava da tempo anche un piccolo gruppo di migranti ormai stanziali sul territorio, che non aveva intenzione di accedere al circuito di accoglienza. Alcuni si sono stabiliti in città anche da mesi, hanno un lavoro ma non riescono a trovare un letto o una casa in affitto, e così hanno occupato abusivamente i fabbricati dello scalo, scegliendo quelli più isolati per non farsi rintracciare dalle autorità. Non è da escludere che mercoledì possano essersi allontanati.
In quei magazzini c’erano persone disperate, senza altre dimore, ma anche situazioni a rischio e pericolose per chi lavora in quell’area e per i migranti stessi. Alcune settimane fa un capocantiere era stato aggredito con un sasso, altri operai si sono visti scagliare addosso dei barattoli. Pochi giorni fa un giovane migrante, allora accampato in largo Santos, testimoniava di essere stato aggredito con delle pietre da alcuni ragazzi stabili in uno dei primi magazzini. «Lì dentro è pericoloso, è meglio non avvicinarsi», raccontava il ragazzo, ora accolto altrove. —
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