Lo sgomento suscitato dalla vittoria elettorale di Donald Trump tra le personalità dell’establishment transatlantico si è trasformato in panico dopo le prime nomine. Tra le più controverse, la scelta del deputato Matt Gaetz, repubblicano della Florida, come Ministro della Giustizia (General Attorney), e dell’ex deputata ed ex candidata democratica alle presidenziali Tulsi Gabbard, come Direttore dell’Intelligence Nazionale (DNI). Poiché i repubblicani hanno ora la maggioranza al Senato, chiamato a confermare le nomine, è in corso una frenetica mobilitazione dei guerrafondai per convincere almeno quattro repubblicani a votare contro queste due nomine.
Matt Gaetz si è fatto apprezzare da Trump per i suoi zelanti attacchi a coloro che hanno alimentato la leggenda del Russiagate, sostenendo che la vittoria del Tycoon nel 2016 fosse dovuta all’ingerenza russa. Il deputato è stato tenace nello smontare le bugie del Dipartimento di Giustizia (DoJ) di Obama, dell’FBI e dei funzionari democratici, mettendo in luce l’assenza di prove a sostegno delle accuse. I suoi attacchi all’FBI sono particolarmente preoccupanti per gli avversarî di Trump, poiché l’ente è sottoposto al Ministro della Giustizia.
I fuochi d’artificio verbali contro Gaetz impallidiscono in confronto all’assalto contro Gabbard, che, quando era deputata dal 2013 al 2021, si oppose ai neocon favorevoli alla guerra. Il suo viaggio in Siria del gennaio 2017 e le sue critiche al sostegno degli Stati Uniti alla guerra per procura contro la Russia le procurarono l’accusa di preferire dittatori spietati alla “democrazia”.
Dal Regno Unito, il Telegraph riferisce che la sua nomina ha “suscitato preoccupazioni” e che si teme una riduzione dalla condivisione delle informazioni di intelligence prevista nell’ambito dell’alleanza Five Eyes (Stati Uniti d’America, Regno Unito, Canda, Australia e Nuova Zelanda). L’articolo cita l’ex capo dell’MI6 Sir Richard Dearlove, che l’ha definita una “nomina azzardata” di una persona “senza alcuna esperienza in materia di intelligence e sicurezza”.
Quando si candidò alle elezioni presidenziali del 2020, Tulsi Gabbard fu diffamata da Hillary Clinton come “favorita dai russi”. Gabbard aveva smascherato i maneggi degli uomini della Clinton per truccare le primarie del 2016 contro Bernie Sanders, fattore che contribuì a spianare la strada alla Clinton e alla sua campagna sul Russiagate. La nomina di Gabbard è stata presa di mira anche dallo screditato guerrafondaio John Bolton, che l’ha definita “nella storia la peggiore nomina a livello di gabinetto”.
La critica della Gabbard al ruolo degli Stati Uniti in Siria è particolarmente preoccupante per la CIA, che lei e altri, tra cui il generale Michael Flynn, l’ex capo della Defense Intelligence Agency, hanno accusato di aiutare, armare e addestrare i terroristi islamici che tentano di rovesciare il Presidente Assad in Siria. Ha anche sostenuto che le accuse di uso di armi chimiche da parte di Assad contro la popolazione sono false e provengono da reti finanziate dall’intelligence britannica come i Caschi Bianchi e dai falsi giornalisti investigativi di Bellingcat.
La Gabbard incontrò Assad due volte, durante la sua missione investigativa in Siria del gennaio 2017. A chi l’attaccava per questi incontri, rispose di averlo fatto perché “dobbiamo essere in grado di incontrare chiunque sia necessario, se c’è la possibilità di raggiungere la pace”. Quando nel 2019 furono rivangati questi attacchi, affermò semplicemente che “Assad non è un nemico degli Stati Uniti, perché la Siria non rappresenta una minaccia diretta per noi”. Per quanto riguarda l’Ucraina, ha sottolineato che l’operazione militare particolare russa è stata provocata dagli Stati Uniti e dalla NATO, sostenendo inoltre la via dei negoziati tra Stati Uniti, Russia e Ucraina, invece delle forniture di armi.
Come DNI, la Gabbard avrà il potere di bloccare i tentativi futuri di colpi di stato e guerre da parte dei neocon nei diciotto enti sotto la sua giurisdizione. Potrebbe anche fare luce sul passato, rivelando il ruolo degli Stati Uniti nella gestione delle operazioni geopolitiche, risalendo almeno alla prima guerra del Golfo, e quindi a quelle in Afghanistan, in Iraq, in Libia, in Siria e in Ucraina, che hanno provocato milioni di morti e sono costate migliaia di miliardi di dollari.