Sarà Zerocalcare la star dell’annuale appuntamento con i “Bellunesi che onorano la provincia in Italia e nel mondo”. Premiazioni sabato 23 novembre a Seren del Grappa, paese d’origine della famiglia di Michele Rech.
Allora Zero, che effetto fa essere premiato come un famoso bellunese nel mondo?
«Mi fa molto ridere questa cosa qua, e tanti mi prendono in giro perché mica sanno che la mia famiglia viene da lassù».
Nel tuo ultimo libro “Quando muori resta a me” sveli queste tue radici. Racconti di un viaggio verso i monti.
«Sì, lo spunto è proprio quello di un viaggio, come ne ho fatti spesso, con mio padre, da Roma a Seren del Grappa; lo accompagno da quelle parti là, a rivedere la casa, il paese, il cimitero».
Quando è stata l’ultima volta?
«Sei o sette mesi fa».
Prima di disegnare il libro, uscito a maggio?
«Il libro l’ho iniziato prima del viaggio, l’avevo già impostato e immaginato, e in parte disegnato, tanto che mi sono detto: “E se poi il viaggio va diversamente? Dovrò cambiare il fumetto. E invece...».
Cosa è successo?
«Mio padre, che non aveva letto nulla di quello che avevo già disegnato, ha interpretato alla perfezione quello che avevo in testa, quasi recitasse un copione».
Cosa vuol dire per Zerocalcare andare in montagna?
«Entrare in una realtà immaginaria e reale al tempo stesso, comunque completamente aliena al mondo mio, che sono un cittadino che non va manco in vacanza. È insomma un altro pianeta, ignoto, dove si scoprono un sacco di cose molto diverse dalla propria comfort zone».
Viaggio fisico e viaggio metafisico, a riscoprire il rapporto col padre.
«È uno dei temi anche questo, vedere se ci si capisce o meno fra generazioni diverse. Se c’è dialogo».
C’è?
«No, c’è più silenzio».
E poi parli di paternità.
«È un bilancio della mia vita, superati i 40 anni, un confronto con le generazioni che mi hanno preceduto».
Con quale risultato?
«Di deprimermi ancora di più».
Poi la descrizione del paese.
«E questa storia davvero divertente del campanile di Seren del Grappa a cui manca un orologio, sul lato che guarda a valle, per dispetto a quelli di Rasai».
In una tavola molto intensa scrivi: “La montagna non desmentega. I bocia i cresse. I cambia. I desmentega. La montagna no. La montagna non desmentega”.
«Perché questa è l’impressione che ho tratto da questo ambiente chiuso, suggestionato da storie come quella del campanile che va avanti da decenni».
Scrivi non desmentega: conosci il dialetto bellunese?
«Non capisco niente del dialetto; ho scritto in italiano e poi ho chiesto a Chat Gpt di tradurmelo; veniva una merda. Mi ha dato una mano il mio editore Michele Foschini, che è trevigiano, a cui ho chiesto un veneto standard, qualcosa che sembrasse veneto e che per la gente di fuori fosse comprensibile».
Come sta andando il libro?
«Molto bene, risultava il quinto più venduto nella prima metà del 2024 e considerando che è uscito a maggio il mio era fuori solo da due mesi».
Ti piace ancora disegnare?
«Mi piace ancora tanto, ma è un meccanismo logorante con ritmi forsennati che a volte nascondono il piacere del disegno. Ma poi, se stacco, al terzo giorno sento la necessità, l’impellenza di riprendere la matita».
Come disegni?
«Faccio tutto su carta con matita e inchiostro, poi digitalizzo e faccio la scansione dei grigi».
E in quale momento della giornata disegni?
«Sempre, dalle 8 alle 19, perché ho un sacco di attività parallele: i libri, l’animazione su Netflix, le riviste fra cui Internazionale. E poi un miliardo di sollecitazioni. Senza dimenticare i centri sociali che fanno parte della mia dimensione politica».