E se, grazie all’intelligenza artificiale, fosse possibile addirittura sconfiggere la morte? Niente sedute spiritiche, niente tavole ouija, ma solo uno smartphone o un computer, e attraverso un’app, “conversare” con i vostri cari che hanno lasciato questo mondo. Non è la trama di un episodio di Black Mirror, ma una delle frontiere più affascinanti e insieme inquietanti che la tecnologia ci sta offrendo.
L’intelligenza artificiale oggi è così potente che potremmo evocare anche le personalità di grandi uomini del passato, come Napoleone o di grandi criminali come Hitler, ma anche di enormi artisti, non solo riproducendo ciò che hanno già creato, ma anche facendo loro creare nuove opere nel nostro presente. Potremmo, per esempio, chiedere a Leonardo da Vinci cosa pensa delle macchine del futuro, oppure scoprire cosa avrebbe pensato Caravaggio sulla luce e ombra nella pittura moderna. Potremmo avere un Leonardo che non solo dipinge la Gioconda, ma che la reinventa per il XXI secolo, o un Raffaello che sfida i confini della prospettiva con nuove tecniche digitali. L’IA, insomma, potrebbe ridare vita a questi geni, non solo con la loro arte, ma con la loro visione del mondo.
Potrebbe essere l’alba di un nuovo spiritualismo, dove la tecnologia non solo permette di comunicare con il passato, ma ci costruisce sopra, lo reinterpreta, crea persino ciò che gli stessi artisti avrebbero potuto realizzare se fossero nati nell’era digitale. Oltre ad avere la capacità di replicare voci e conversazioni, questa tecnologia ci spinge ad una riflessione più profonda: cosa succede quando il mondo dell’arte incontra la creazione sintetica? Se un algoritmo può imitare la voce di una persona scomparsa, perché non dovrebbe essere in grado di ricreare anche le sue opere?
A prima vista, potrebbe sembrare un orizzonte entusiasmante. Chi non vorrebbe vedere una nuova scultura di Michelangelo o che tipo di quadri Monet produrrebbe con un iPad? Tuttavia, più ci si pensa, più emergono delle domande. La linea tra omaggio e plagio diventa sfocata quando le macchine possono ricreare così facilmente l'”essenza” dello stile di un artista. Se un’IA può produrre qualcosa che sembra l’opera di un genio, ma non è realmente il risultato di una mente umana, dove tracciamo la linea tra creazione e copia?
Con l’inarrestabile progresso dell’IA, la questione dell’originalità si intreccia sempre di più con il tema dell’autorialità. Chi detiene i diritti di una pittura creata da una macchina nello stile di Van Gogh? È lo sviluppatore del software, l’artista che ha generato il prompt, l’artista che lo ha “ispirato” o, come spesso accade, nessuno? Ecco il colpo di scena: con l’IA che continua a migliorare e a imparare da enormi quantità di storia dell’arte, potrebbe anche sostituire gli artisti umani, viventi o meno. Se l’IA può attingere a secoli di esperienza, può forse spingere i confini dell’arte oltre ciò che qualsiasi essere umano potrebbe mai fare.
È una prospettiva entusiasmante e, nello stesso tempo, spaventosa. Proprio mentre siamo sull’orlo di resuscitare i grandi maestri, corriamo il rischio di perdere proprio ciò che rendeva loro unici. Il futuro della creatività è qualcosa che vogliamo davvero delegare alle macchine? Non c’è il pericolo che, nel perseguire la libertà artistica assoluta, finiremo per incatenarci a un ciclo infinito di imitazioni e combinazioni? E dove finisce la genialità umana e dove inizia la pericolosa zona grigia della pura imitazione? Una macchina può riprendere il linguaggio di questi artisti ma lo fa senza la loro sensibilità, senza il contesto storico e umano che solo l’esperienza di una vita vissuta può conferire.
È proprio questo il dilemma che solleva il rapporto tra intelligenza artificiale e creatività. Se da una parte l’intelligenza artificiale può darci l’illusione di continuare a parlare con i grandi maestri del passato, dall’altra ci pone di fronte a domande spinose su autenticità, proprietà e diritto d’autore. Nel mondo dell’arte digitale e della creazione generativa, la linea tra ciò che è originale e ciò che è semplicemente una riproduzione è sempre più difficile da tracciare.
Oggi l’intelligenza artificiale ci sta permettendo di fare cose che fino a poco tempo fa sembravano impossibili. Non stiamo parlando di semplici applicazioni tecnologiche, ma di vere e proprie sperimentazioni che rasentano il paranormale, costruendo dei “prolungamenti” digitali delle persone scomparse, come se ci fosse una sorta di “eco” che resiste nel cyberspazio. Il potenziale è affascinante, ma anche inquietante. Perché, se l’arte diventa solo una combinazione di algoritmi e database, esisterà ancora in futuro la creatività umana?
Tuttavia, l’aspetto davvero affascinante è la possibilità di utilizzare l’IA proprio per esplorare nuove frontiere creative. La generazione di immagini attraverso comandi di testo, come nel caso dell’IA generativa di MindJourney, ha permesso agli artisti di spingersi oltre i limiti tecnici a cui erano abituati. Oggi un artista può generare una serie di immagini da un sogno, cose che una volta erano impensabili senza anni di preparazione tecnica. In questo nuovo scenario, l’artista diventa un “compositore” che orchestra una combinazione di influenze passate e possibilità future, sfruttando la potenza dell’IA per dare vita a qualcosa di unico e mai visto prima.
Tuttavia, dietro l’entusiasmo per la nuova tecnologia, restano alcune domande difficili. Non solo quelle sui diritti d’autore. Per esempio, c’è la questione dell’impronta ecologica dell’IA, che consuma enormi risorse energetiche per funzionare. Ogni passo avanti nel campo dell’arte digitale porta con sé una riflessione su quanto siamo disposti a sacrificare in termini di autenticità, diritto d’autore, ma anche di sostenibilità.
Se un tempo l’arte era considerata una delle espressioni più pure dell’umanità, oggi dobbiamo confrontarci con la realtà di un processo creativo che, pur essendo generato dall’intuizione umana, sarà sempre più modellato dall’intelligenza artificiale. Questi interrogativi sono già stati sollevati con le piattaforme di IA che permettono di generare immagini, dove i dati utilizzati per creare opere potrebbero essere tratti da un numero infinito di lavori protetti da copyright, senza alcuna compensazione per gli autori originali. Forse, in un prossimo futuro, non saremo più sorpresi di trovarci davanti a un quadro firmato da un “Leonardo” creato da un algoritmo, tanto quanto accettiamo l’idea di parlare con una versione digitale di un nostro caro defunto.
E a questo punto una domanda sorge spontanea: se Leonardo, Raffaello, Caravaggio e Michelangelo, come tutti i grandi della storia, non fossero mai “veramente” morti, ma solo in attesa di un risveglio digitale?
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