Centinaia e centinaia di prestazioni sanitarie a rischio mercoledì 20 novembre negli ospedali bellunesi per lo sciopero nazionale di 24 ore di medici, dirigenti sanitari, infermieri e tecnici.
Laboratorio analisi, Ambulatoriali, Radiologia e Chirurgia i reparti che più di altri saranno colpiti dalla protesta: qui potrebbero saltare le prestazioni programmate in caso di adesione allo sciopero da parte del medico chiamato a eseguirle.
A rischio anche le prestazioni infermieristiche e ostetriche. Restano garantite, invece, le urgenze-emergenze; anche i reparti di Pronto soccorso, 118, Unità coronarica intensiva e Rianimazione funzioneranno a regime.
Allo sciopero – indetto dalle sigle sindacali dei medici Anaao Assomed e Cimo - Fesmed e dal Nursing Up degli infermieri – potranno aderire il personale a tempo indeterminato e determinato, i dipendenti delle strutture private convenzionate col Sistema sanitario nazionale e anche i medici specializzandi assunti col decreto Calabria. Lo sciopero sfocerà nella manifestazione di Roma, dove dalle 12 di mercoledì inizieranno gli interventi degli esponenti dei sindacati.
«Difficile sapere in anticipo se l’adesione sarà massiccia o meno, anche se le motivazioni che ci spingono a farlo sono importanti e in grado di catalizzare l’attenzione di tutti», precisano Stefano Capelli del Cimo, Luca Barutta di Anaao veneto e Lorella Vidori del Nursing up bellunese.
«Era il dicembre 2023 quando siamo scesi in piazza l’ultima volta», ricorda Barutta, «ed eccoci ancora qua. Molte delle proteste che presentavamo l’anno scorso sono ancora presenti, ma tante altre se ne sono aggiunte in questi mesi. Quella volta l’adesione all’astensione dal lavoro era stata del 20%, questa volta la speranza è di aumentare i risultati. I motivi ci sono tutti».
Tra le principali cause della protesta i contratti di lavoro, per i quali – secondo i sindacati – sono state assegnate risorse assolutamente insufficienti e la mancata detassazione di una parte della retribuzione. A questo si aggiunge la mancata attuazione della normativa sulla depenalizzazione dell’atto medico e sanitario e l’esiguo quanto intempestivo incremento dell’indennità di specificità infermieristica, senza estensione alle ostetriche.
«Saremo in piazza anche contro la riduzione di risorse per la medicina, ma anche contro le violenze sul personale sanitario. C’è necessità che l’azienda sanitaria prenda provvedimenti anche contro queste aggressioni, soprattutto in determinati reparti più a rischio di altri come il Pronto soccorso, il front office, la Psichiatria e l’Area demenza. Purtroppo», precisa Vidori, «ci troviamo con pochi infermieri e con sempre maggiori richieste da parte degli utenti, cosa che crea un ambiente di lavoro abbastanza teso e stressato. Per questo motivo sosteniamo che ci sia bisogno di strumenti in grado di proteggerci».
Quello che lamenta il personale è anche «l’assenza di risorse per l’immediata assunzione di figure sanitarie, insieme a una manovra del governo “deludente”che prevede una riduzione dei finanziamenti per la sanità, passati da 3,7 a 1,3 miliardi di euro, insufficienti a rinnovare i contratti del personale», dicono Capelli e Barutta.
La manovra prevede anche un aumento dell’indennità di specificità medica di 17 euro per i medici nel 2025, che salgono a 115 nel 2026, mentre per gli infermieri si parla di 7 euro per il 2025 e 80 per il 2026.
«Sono briciole rispetto a quello che serve realmente», precisa l’esponente di Anaao, che rincara la dose: «Nel nostro territorio l’azienda non ha ancora dato seguito al contratto collettivo firmato un anno fa. E cosa dire dell’esercito negli ospedali contro le aggressioni? Le Ulss dovrebbero mettere a terra qualche azione preventiva obbligatoria per difenderci».
«La nostra professione», conclude Vidori, «non è più appetibile visti gli stipendi che percepiamo non aggiornati al costo della vita».