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Cronache dalla fine del Pentamondo: dove uno vale zero perché nessuno conta (più) nulla

Cos’è il Pentamondo? È un universo psichedelico, ma senza la poesia del mondo a-dimensionale di Lewis Carrol. È un luogo dove la realtà del fatto che accade è spesso svuotata e rielaborata nella narrazione soggettiva del fatto, secondo una dinamica comunicativa in cui l’esternazione diventa il momento centrale della rappresentazione del vero: l’atto del comunicare. È la realtà stessa. È la sfera impalpabile dove le regole servono ad incatenare, ma possono essere scatenate: dove l’eccezione può diventare la regola e la regola l’eccezione. Dove le parole – scritte o parlate – hanno spesso un significato cangiante a seconda della prospettiva e del momento. E del potere di chi le pronuncia. In cui l’affermazione indica una possibilità astratta, ma anche il suo concreto contrario, secondo soluzioni che si elidono. Dove gli slogan scoloriscono nella memoria della massa adorante per essere poi riproposti come slogan di segno contrario; con la massa che approva l’uno e l’altro, il principio e il suo opposto, e sempre con la stessa convinzione. È il mondo dove il fratello di ieri diventa l’arcinemico di oggi e il nemico di oggi l’alleato di domani. Dove democrazia significa potere di pochi, dove tutti – gli altri – sono uguali perché nessuno conta nulla…

Conte e Grillo: diversamente oligarchi

Ed è in questo contesto che va analizzato il contrasto tra Conte e Grillo, contrasto che viene presentato dai due contendenti come lo scontro tra diverse concezioni di democrazia – e questo è il vedere il bicchiere mezzo pieno – ma più smaliziatamente si può guardare il tutto come un prosaico redde rationem tra due visioni ferreamente oligarchiche, o “diversamente padronali”, della gestione del Partito. E questo è il veder il bicchiere mezzo vuoto; mezzo vuoto come è oggi il paniere di consensi elettorali del M5S. E se il bicchiere e il panierino sono mezzi vuoti, la gestione del potere – nel mezzo ventennio a guida Grillo – è, per i canoni democratici, pienamente desolante: la biografia politica delle due associazioni denominate Movimento 5 Stelle (sia quella creata nel 2009 che quella del 2017, strutturata nella forma partito, costituita per rottamare la prima) è costellata di espulsioni di iscritti scomodi perché invisi alla corrente dei maggiorenti, di impedimenti delle candidature non gradite tramite l’escamotage dell’espulsione o della sospensione disciplinare, di defenestrazioni di candidati che avevano vinto le elezioni e che sono state giustificate con un autocratico “fidatevi di me” di Beppe Grillo nel marzo 2017, quando annullò la candidatura di Marika Cassimatis, vincitrice delle primarie per le amministrative genovesi. Un “fidatevi di me” che si trova però icasticamente scolpito anche nello statuto pentastellato contiano, laddove all’art. 5 attribuisce al presidentissimo di “valuta[re] la compatibilità della candidatura con i valori e le politiche del MoVimento 5 Stelle, esprimendo parere vincolante e insindacabile sulla candidatura”.

MoVimento nuovo? Peggio dei “vecchi”

Ma facciamo un passo indietro, nel tempo: forse non molti ricordano – anzi, pochi osservatori sanno – che per sottrarsi all’implosione giuridica e giudiziaria della prima associazione (quella creata da Grillo e Casaleggio sr), stressata dalle iniziative processuali che vedevano sistematicamente il M5S dalla parte del torto per difetto di legittimità dei provvedimenti adottati “contro” parte dei propri associati (e per gestire meglio l’altra parte), nella terza decade del dicembre 2017, fu creata una nuova, omonima associazione, con uno statuto che ha inaugurato, senza più infingimenti, la forma “partito” del movimento, un partito con regole molto meno liberali di quelle di altri partiti storici… . E il nuovo partito è nato con peccato originale molto poco democratico, costituito dall’aut aut che i neofondatori posero – nei giorni di capodanno 2017 – agli iscritti del vecchio M5S (quello nato dal 2009, disciplinato dal “Non statuto”): chi non si fosse iscritto alla nuova associazione, accettando il nuovo statuto (che attribuiva al “Capo politico” prerogative autocratiche impossibili da immaginare nella versione movimentista e “nonstatutaria” ideata dal MoV di Gian Roberto Casaleggio), sarebbe semplicemente scomparso dall’universo informatico in quanto la vecchia associazione veniva privata di qualsiasi possibilità di prosecuzione dell’azione politica, spogliandola dell’utilizzo del blog: quella che sostanzialmente era la sede politica del MoVimento e attraverso la quale si celebravano le tanto declamate consultazioni degli iscritti, dall’oggi al domani diviene il blog della nuovo partito di Luigi Di Maio e Davide Casaleggio.

Il sogno di Casaleggio? Inabissato come il Titanic

Il M5S del 2009 scompare così insieme ai propri iscritti, inabissandosi come il Titanic, colpito da un iceberg politicamente invisibile, perché coperto da un’operazione di maquillage: la declamata riorganizzazione del MoVimento per la conquista della guida della Nazione, come effettivamente avverrà da lì a qualche mese, riorganizzazione che passa per la rottamazione del Non Statuto e quindi in un tacito rinnegamento dei principi e dei canoni democratici coniati da Gianroberto Casaleggio. Indietro non si torna, chi si ferma è perduto e i dinosauri si sono estinti perché non si sono adattati alle leggi dell’evoluzione naturale. E Grillo dunque, fedele alla teoria darwiniana, non muove un dito, anzi avalla l’operazione accettando il ruolo di Garante del nuovo partito, accettando contestualmente il sacrificio della creatura politica partorita da lui e Gianroberto Casaleggio. Tra un’espulsione e l’altra dei parlamentari che avevano osato votare “secondo coscienza” – e secondo le prerogative dell’art. 67 della Costituzione, (come De Falco e Paragone) – unico sussulto di parvenza democratica è lo svolgimento degli Stati Generali nel 2020 (qualcosa di simile, anzi più partecipato, della Costituente contiana dell’autunno 2023) in cui i rappresentanti della base, di concerto con parlamentari, consiglieri regionali e consiglieri comunali pentastellati, deliberano la fine del modello dell’uomo solo al comando in favore di una struttura che gestisca collegialmente le leve del potere: il Comitato direttivo.

L’illusione degli Stati generali

La scelta viene ratificata con un plebiscito degli iscritti del febbraio 2021, che approva la modifica statutaria proposta. A questo punto, direte voi, l’applicazione ABC della democrazia avrebbe dovuto avere come conseguenza l’indizione delle consultazioni assembleari per la votazione dei cinque componenti del Comitato direttivo. Ma invece i colonnelli pentastellati si fanno portatori di una diversa esigenza che espongono a Grillo, prima recalcitrante e poi consenziente: chissene degli esiti delle votazioni, la guida del Partito deve essere consegnata nelle mani salvifiche di Giuseppe Conte, che ha così ben governato l’Italia nell’Era Covid e che ancor meglio farà come leader unico del M5S. Nel giugno del 2021 l’entourage contiano, che nel frattempo aveva liquidato uno dei due fondatori del partito (Davide Casaleggio), sottopone a Grillo l’ordito della nuova costituzione pentastellata: lo Statuto seicentesco, come lo definirà il comico genovese. E qui Grillo inizia verosimilmente a capire il servizio apparecchiatogli, partendo dalla lettura della democraticissima disposizione transitoria dello Statuto da sottoporre all’approvazione degli iscritti: “Il primo Presidente dell’Associazione è indicato dal Garante ed è eletto dall’Assemblea a maggioranza dei voti espressi, quale che sia il numero degli Iscritti aventi diritto di voto partecipanti alla votazione; in caso di mancata elezione, si procederà ai sensi dell’art. 11, lett. h), cpv. 2, del presente Statuto”.

Conte “cucina” Grillo

In pratica: l’unico candidato presidente sarà Conte e basterà anche un solo voto per eleggerlo alla carica apicale. I poteri del Garante vengono un po’ ridotti rispetto a prima, ma la procedura assembleare degli iscritti rimane un simulacro di democrazia, come lo era prima. E di questo Grillo non pare lamentarsi. Convergenze parallele. Grillo appare comunque soddisfatto degli accordi intercorsi con i nuovi gestori del partito e dà il classico “calcio del mulo” a Luigi Di Maio, dopo che questi aveva lamentato l’inagibilità politica all’interno del partito che aveva creato con Davide Casaleggio. E fuori due. Mancava la testa del terzo (Grillo appunto) e sembra che l’assemblea sia pronta a ghigliottinare politicamente il Garante, che negli ultimi anni sembra essere stato più che altro il garante di se stesso. Che il destino del M5S non fosse nelle mani di Beppe Grillo s’era già capito in quel “semestre (in) bianco” tra l’agosto 2021 e il febbraio 2022, quando la prima elezione del candidato unico Conte venne sospesa in via cautelare dal Tribunale di Napoli e Grillo rimase in finestra, dopo aver tuonato contro lo “Statuto seicentesco”, anch’esso sospeso dal Collegio napoletano, neanche prova a dire che si deve procedere all’elezione dei membri del Comitato direttivo, come aveva timidamente sostenuto nel luglio 2021…. Ed è lì, in quel momento, che Grillo perde l’ultima carta vincente che aveva in mano, consegnandosi interamente al potere presidenziale di Conte.

L’epilogo “malapartiano” di una parabola

E visto che i due, per indole e formazione, non potevano collaborare tra di loro più di quanto non possano, sciascianamente, farlo un costruttore e un dinamitardo, quello che si annuncia nella terza decade di novembre non è che il prevedibile epilogo di una parabola politica, ma un epilogo che andrebbe studiato e approfondito per un nuovo manuale politico malapartiano, in quanto – a memoria personale – è la prima volta che chi è stato designato come capo del partito dà il ben servito al suo designatore in una rivisitazione del mito del Rex Nemorensis, ma priva dell’elemento mitico, perché questo è il Pentamondo. E queste le sue cronache. La Costituente di novembre 2023 viene presentata come grande prova di vitalità del Partito pentastellone, di partecipazione dal basso, di attenzione ai territori e agli indirizzi politici e organizzativi espressi dalla base. Anche gli Stati Generali vennero presentati così e la volontà espressa dalle assemblee “fisiche”, territoriali e nazionali, rimase poi lettera morta, anzi mortificata, dal nuovo Statuto seicentesco.

L’ultima mossa per Grillo…

E sarebbe da approfondire, sempre in uno studio da manualistica politica, come mai nell’arco di sei mesi l’assemblea degli iscritti abbia approvato due statuti di impostazione antitetica (così come andrebbe studiata l’adesione massiva degli iscritti dell’associazione M5S del 2009 al partito M5S del dicembre 2017, regolati da due statuti anch’essi antitetici)…. Ma tant’è. Ad oggi, a Grillo rimane solo una mossa, quella che a Poker si chiama “all in”: considerato che l’eliminazione o la riduzione dei poteri del garante deve passare necessariamente per le modifiche statutarie e che queste richiedono, in prima convocazione, il quorum della partecipazione del 50% degli aventi diritti al voto, mentre in seconda convocazione non è previsto alcun quorum, Grillo potrebbe giocare la carta, mai utilizzata fino ad oggi (ed anche questo dovrebbe far riflettere), di chiedere il rinnovo della (secondo) votazione e in questo caso, qualora la partecipazione non raggiungesse il quorum previsto per la prima convocazione (il 50% degli aventi diritto al voto) tutte le modifiche statutarie sarebbero cassate. Grillo vincitore e Conte sconfitto. Questo sarebbe l’epilogo che i partigiani di Grillo si aspettano, ma rischiano di essere nuovamente delusi. Del resto è il Pentamondo.

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