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L’addio triste di Rafa Nadal, una leggenda che non muore anche se la Spagna perde dall’Olanda per due scelte sbagliate

Far giocare Rafa Nadal, quando sullo stadio vicino campeggiava la scritta Gracias Rafa, e dopo oltre 20 anni di grandi, grandissime imprese in giro per il mondo e sui più grandi palcoscenici del nostro sport, 4 Coppe Davis vinte e non solo i 22 Slam, era un atto dovuto, l’immancabile celebrazione per un campione leggendario che ha fatto innamorare del tennis tutta la Spagna e non solo la Spagna.

E’ stato impossibile non ammirarlo, come campione, ma anche prima come giovane ragazzo educato e sensibile, poi come uomo rimasto umile, gentile, mai sopra le righe. Che poi in due decenni qualche “scivolata” l’abbia fatta (con Bernardes quando pretese di ricusarlo, con Sonego quando gli intimò a Wimbledon di non gridare dopo aver tirato i colpi e sicuramente c’è stato qualche atro episodio che ora non vale la pena di ritirar fuori) ci sta. Chi non ne ha mai fatte in 20 anni?

Io l’ho conosciuto da vicino, dacchè nell’aprile 2003 lo vidi diciassettenne battere Albert Costa (campione del Roland Garros nel 2002) a Montecarlo, quando era più facile incontrare e frequentare i giocatori e i loro familiari, senza dover dribblare agenti, media p.r. e tutti quegli ostacoli che una volta non c’erano. Oggi vengono… “protetti” perfino i genitori dei campioni. Mi viene in mente perché un anno a Shanghai, durante un Masters, ci trovammo con mia  moglie in un mercatino famoso con i genitori di Rafa, suggerendoci a vicenda cosa vedere, dove andare. E poi alla fine incontrammo anche Rafa per far vedere gli acquisti degli uni e degli altri. Di Rafa conservo gelosamente anche la maglietta ancora imbrattata di terra rossa, “sporcata” così nello sdraiarsi a terra al Foro Italico quando battè Federer 7-6 al quinto dopo avergli cancellato due matchpoint. Io ho conosciuto tante, tantissime persone davvero, che in tutti questi anni non hanno mai cessato di stravedere per Rafa Nadal, per i suoi infiniti, affascinanti e straordinari duelli con Roger Federer prima, con Nole Djokovic poi. Il maiorchino è stato un campione immenso, un guerriero indomabile, un esempio, un mito. Come gli altri Fab, certamente, ma ognuno con le sue specificità così particolari e diverse.

Non credo che adesso che Rafa ha perso questo match in cui tutti, salvo gli olandesi, avrebbero voluto vederlo vittorioso, qualcuno rimprovererà David Ferrer per la sua scelta “romantica”. Una scelta favorita anche – se mi devo esprimere sotto il profilo squisitamente tecnico – dal fatto che l’alternativa a Rafa era costituita da un trentaseienne, Roberto Bautista Agut, che non è più un top-10 (lo è stato brevemente, mentre è stato per anni un top-20) ma è oggi soltanto n.46 ATP, dopo essere uscito dai primi 20 nell’agosto del 2022 e dai primi 100 a gennaio, era n.122 a giugno…- prima di risalire su principalmente grazie al torneo vinto a Anversa, più anziano vincitore del 2024. Insomma non era scontato che Bautista potesse esprimersi certamente meglio di un Rafa che fosse stato appena appena sufficiente. E se Ferrer avesse scelto Bautista e Bautista avesse perso con Van de Zandschulp, oggi n.80 ma n.22 nell’agosto del 2022, e per buona parte di questo 2024 meglio classificato dello spagnolo, ve lo immaginate che cosa avrebbero detto al capitano irriconoscente, ingrato?

Ma anche se sei stato un grande campione il tennis non ti consente, al di là dei limiti anagrafici inevitabili per un trentottenne, di giocare una partita importante e da vincere dopo 3 mesi di digiuno agonistico. Non sono i 36 anni rispetto ai 38 anni che facevano la differenza, ma il giocare giorno dopo giorno, partecipando a un torneo dopo l’altro. Nove tornei Bautista, zero Rafa dal torneo olimpico di Parigi in poi. Questo, per un campione umile come lui, è stato invece un atto di presunzione, seppur favorito dalle circostanze. Perfino i campioni hanno bisogno di giocare gare. Non è detto, manca la controprova, che Bautista Agut avrebbe battuto Van de Zandschulp, ma il dubbio resterà sempre e quel dubbio Rafa per primo non avrebbe dovuto alimentarlo.

Quando Flavia Pennetta, vittoriosa all’US Open 2015, colse tutti di sorpresa annunciando il proprio ritiro, poi però non smise immediatamente di giocare per presentarsi a Singapore a completo digiuno di tornei. Giocò Pechino, Tianjin, Mosca e poi le WTA Finals a Singapore dove battè la Radwanska prima di perdere le altre due partite del girone ed essere quindi eliminata. Ma si era presentata in ottima forma. Addirittura la Radwanska vinse il torneo…

Infatti Rafa, dopo un’oretta di rodaggio, ha cominciato a giocare meglio nella fase finale del match, dopo che in quella prima oretta la palla proprio non gli camminava e non riusciva a giocare vicino alla riga di fondo. Soltanto 10 i suoi punti vincenti, quando con la sua chela mancina ai suoi bei tempi ne avrebbe fatti almeno il doppio. Non giocava bene nemmeno il tesissimo Van de Zandschulp, al punto di commettere anche tre doppi falli in uno stesso game, ma poi pian piano la tensione è passata all’olandese mentre Rafa ci ha messo più tempo ad avvicinarsi a quello che era stato…sia pure senza mai raggiungersi.

Rafa ha detto e ribadito subito dopo il 6-4,6-4 patito con Van de Zandschulp, che “la decisione di giocare non è stata mia ma del capitano (David Ferrer). E credo che lui abbia messo in campo chi credeva chi pensava fosse il migliore per vincere la sua partita. L’ho persa, Botic ha giocato meglio”. E qualche battuta dopo Rafa si è lasciato scappare un: “E io ho perso il mio primo e l’ultimo match in Coppa Davis a chiudere un ciclo.”

Ma chi non ricordava che Rafa aveva perso in Davis da Jiri Novak poteva pensare che avesse voluto dire che oggi aveva perso insieme il suo primo e anche il suo ultimo match. Ma non era così. Poi Rafa avrebbe aggiunto: “Sarà il capitano a scegliere…mi allenerò per fare del mio meglio, se fossi lui probabilmente cambierei…ma se mi chiede di scendere in campo lo faccio, se mi dice di andare in panchina ci vado”.

Con gli spagnoli sarebbe stato ancor più diretto: “Non credo che se io fossi il capitano mi metterei di nuovo in campo, però io non avevo alcun problema fisico, stavo bene e David ci aveva visto allenare e pensava, come me del resto, che io potessi giocare bene e vincere. Ma purtroppo non è andata così”.

Come previsto Alcaraz ha rimesso le cose a posto, anche se con Griekspoor è stato indietro di un break (4-2) e tutta la Spagna radunata al Martin Carpena ha tremato. Ho visto Griekspoor tante volte sfiorare grandi affermazioni, perfino con Sinner, ma quasi sempre anche finire per soccombere. Poi però c’è stato il doppio…misto, nel senso di uno specialista al fianco di un singolarista, Granollers accanto a Alcaraz e Koolhof accanto a Van de Zandschulp. Come potrebbe accadere anche all’Italia se Volandri non se la sentisse di lasciar fuori Sinner e gli mettesse accanto Vavassori (o Bolelli) invece di Berrettini (o Musetti).

La Spagna ha avuto un setpoint sul 5-4 del primo set, ma ha perso il tiebreak (7-4) con Koolhof, di gran lunga il migliore dei 4 in campo, a sostenere il partito di chi crede più negli specialisti. Mentre pensavo queste cose, notavo però anche che fra tutti e 4 i protagonisti di questo doppio non avevano messo a segno che 4 ace. Magari è più importante mettere sempre la prima, piuttosto che fare tanti ace, però Sinner che ne ha fatti 14 in due set, in 10 game, contro Fritz, quanti ne farebbe…se non scegliesse di mettere dentro la prima a tre quarti di velocità?

Il doppio è stato seguito dalla stampa sapendo che se la Spagna lo avesse perso ci sarebbe stato il triste addio di Rafa Nadal all’ultimo canto del cigno, e se lo avesse perso l’Olanda quello di Koolhof, con ben altra partecipazione. Ha perso la Spagna di Nadal e anche Alcaraz, a Malaga dove un anno fa non era nemmeno riuscita a qualificarsi, ma Nadal resta un campione immortale. Alla fine su un megaschermo sono state fatte vedere le mille immagini dei suoi successi, le parole di tanti campioni, Federer, Djokovic, Murray, del Potro, mentre sugli spalti piangevano in tanti, non solo sua sorella, sua madre, sua moglie, suo padre. Tanti tennisti dell’equipo spagnolo, Carlitos, Moya, Ferrer.

Lo sport non fa regali a nessuno e come ha ricordato Rafa a lui lo sport ha dato tantissimo “Ho avuto la possibilità di realizzare molto di più di tutti i sogni che avevo da bambino. Sono stato superfortunato di avere sempre attorno le persone che mi volevano bene, la gente che mi sosteneva, e spero di lasciare un ricordo che vada al di là delle vittorie che ho conseguito, ma in quanto una buona persona”.

Questa eliminazione della Spagna rappresenta probabilmente un vantaggio per le altre squadre che, con tutta probabilità – salvo forse l’Italia di Sinner – sarebbero partite dovendo recuperare la probabile vittoria di Alcaraz. Battere in singolare Griekspoor e Van de Zandschulp sembra meno complicato per quasi tutte le altre squadre che però devono sapere che in doppio l’Olanda, se Koolhof giocasse sempre come contro Granollers e Alcaraz, sarebbe un osso durissimo.

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