“La dittatura dei permessi e dei confini”. Una frase che fa molto pensare. E’ contenuta nella nuova edizione della rivista di Md e Asgi, Diritto, immigrazione, cittadinanza, curata dalle due correnti Magistratura Democratica e Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione- che da mesi “smontano” la politica migratoria del governo: in primis il patto con l’Albania. All’interno del fascicolo – ce ne parla il Giornale – si trova un commento a firma di Maurizio Veglio, che francamente è sconcertante: sembrerebbero delle linee guida su come dovrebbe comportarsi l’Italia con i migranti. E, insieme, un insieme di giudizi sconcertanti contro la politica del governo.
«Le autorità italiane devono valutare la vita sociale privata dei migranti contro la dittatura dei permessi e dei confini»: una delle frasi-chiave che attesta il giudizio negativo che viene espresso esplicitamente sull’esecutivo. Si parla di un’Italia che alimenta «la spirale selvaggia in cui è precipitata la politica migratoria» e che non tiene conto che «i migranti hanno il diritto di desiderare». Dalle osservazioni l’Italia a guida centrodestra non può tentare neanche di esercitare una politica di controllo del fenomeno.
“A proposito dei rimpatri si sostiene che «qualora l’allontanamento comporti un sacrificio (del migrante, ndr) sproporzionato, le autorità dovranno astenersi dal disporlo». Insomma si tratta di un delirio immigrazionista. I termini della questione vengono capovolti: non sono i migranti che devono uniformarsi alle regole; ma è l’Italia che deve “adeguarsi” alla condizione degli stranieri che sbarcano nel nostro Paese.
L’Italia, per l’avvocato del foro di Torino, deve attuare “la costruzione di una cornice… finalizzata a “rispettare la sfera privata del migrante dalle interferenze di uno Stato”. Prendendo alla lettera la visione messa nera su bianco sulla rivista di Md, il nostro Paese non potrebbe rimpatriare nessuno. Da cancellare anche la legge sui parenti stretti ma allargarla agli affetti dei migranti: «Le autorità devono tenerne conto, non certo attraverso una sconfortante aritmetica delle relazioni che contrappone il numero di familiari nel Paese di origine a quelli presenti in Italia; né arrogandosi il potere di decidere cosa è meglio per i cittadini stranieri». Bisogna, in sintesi, allargare i criteri dei ricongiungimenti familiari.
Addirittura, leggiamo in uno dei passi riportati dal quotidiano di Sallusti- si arriva a giustificare il lavoro nero: “Il contratto di lavoro costituisce un mezzo di prova qualificato… ma non rappresenta una condizione necessaria all’ingresso in una comunità lavorativa. È infatti palese che anche il cosiddetto lavoro sommerso consente l’accesso a quelle significative opportunità di sviluppare rapporti con il mondo esterno”. Sconcertante. La piaga del caporalato derubricata con un tratto di penna. Ancora una “prescrizione”: politica e giustizia dovrebbero favorire anche l’associazionismo religioso perché consente allo straniero di sentirsi “parte della sua comunità”. Per finire, l’ultimo delirio: “Non importa che il migrante impari l’italiano, anzi. Questo nasconde la trama razzista che rimanda alla caricatura del buon immigrato addomesticato; che ha imparato l’italiano e ha cancellato le proprie tracce di estraneità”.
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