Senza un contratto e una busta paga certa. L’unica documentazione ufficiale registra le ore sul posto di lavoro e nulla di più. Più di metà giornata trascorsa nel cantiere dello stadio Aramco di Al Khobar, città sulla costa orientale dell’Arabia Saudita, per meno di 2 euro all’ora: “Non è facile lasciare questo lavoro perché hanno i miei soldi“, afferma un lavoratore proveniente dal Bangladesh occupato per il nuovo gioiello architettonico da 47mila posti da quattro mesi ma che, ad ora, ha ricevuto solo uno una mensilità. “Non so se verrò mai pagato per intero”. Dietro la candidatura (ormai certa ma non ancora ufficiale) dell’Arabia Saudita per i Mondiali di calcio del 2034, ci sono migliaia di immigrati che devono acquistare la propria assicurazione, trovare le proprie stanze e, ogni mese, consegnare circa una settimana di stipendio ai loro sponsor sauditi per pagare il permesso di soggiorno. “Non riceverò alcun aiuto se mi lamento con l’azienda. Mi minacceranno di buttarmi fuori. Ci sono molti lavoratori senza un impiego qui. Posso essere facilmente sostituito”. L’indagine svolta dal Daily Mail ha dato voce agli sfruttati, intrappolati da un sistema che cerca di nascondere condizioni di lavoro proibitive: “Sono a conoscenza della Coppa del Mondo, ma non provo alcuna eccitazione al riguardo. Devo solo fare qualsiasi lavoro dopo aver lasciato il mio paese. Ho dovuto prendere in prestito così tanti soldi, se torno a casa ora, mi troverò di fronte a un peso enorme. Sarebbe stato meglio se fossi rimasto in Bangladesh”. Un vero e proprio sfruttamento, con l’obiettivo di arrivare pronti e con impianti all’avanguardia per quello che viene considerato “il più grande spettacolo della terra”.
L’altra faccia della medaglia
Sarà dunque l’Arabia Saudita a ospitare i Mondiali di calcio del 2034. Il prossimo 11 dicembre, infatti, l’Assemblea Generale Straordinaria della Fifa annuncerà ufficialmente l’organizzazione all’Arabia, peraltro unica candidatura appoggiata da 170 federazioni e resa possibile dopo il ritiro dell’Australia. Impianti senza eguali e 15 nuovi stadi che ospiteranno le 48 nazioni qualificate (nuovo format che verrà introdotto a partire dall’edizione nel Nord America del 2026). “Tre edizioni, cinque continenti e dieci Paesi coinvolti nell’organizzazione delle partite del torneo: questo rende il calcio davvero globale. Mentre viviamo in un mondo sempre più diviso e aggressivo, dimostriamo ancora una volta che lo sport più importante a livello mondiale, unisce come nient’altro”, aveva annunciato con grande orgoglio il presidente della Fifa Gianni Infantino sui propri social. Il Principe Abdulaziz Bin Turki Bin Faisal aveva poi aggiunto: “Continueremo a mostrare al mondo la trasformazione della nostra nazione in tutti i settori”. Un’opportunità di innovazione e di grande sviluppo smascherata dalle reali condizioni dei lavoratori che stanno rendendo questa edizione una “destinazione per le famiglie”, come recitano gli slogan che tappezzano la città.
“Dobbiamo strizzare i nostri vestiti due o tre volte a turno”
Turni massacranti, e con una sola pausa a metà giornata, condizionati da un caldo torrido e umido: “Siamo inzuppati di sudore. Dobbiamo strizzare i nostri vestiti due o tre volte a turno”. Terminato il servizio, i lavoratori vengono trasportarti nelle loro “case“: stanze minuscole e un materasso appoggiato a terra. I vestiti gocciolanti di sudore rimangono appesi a un filo sopra le teste di cinque o sei persone che devono condividere lo stesso spazio. I pasti vengono preparati sul pavimento e cucinati in luoghi non propriamente igienici. Una routine che va avanti da mesi e che dovrebbe proseguire almeno fino al 2029, data in cui anche il King Salman Stadium di Riyadh verrà completamente rinnovato (nella foto in evidenza, considerato il nuovo quartier generale polivalente dei Mondiali con una capienza pari a 92mila posti).
Violati i diritti dei lavoratori: il recidivo “Six Construct”
Passaporti confiscati, stipendi non pagati e contratti che risultano falsi. Sfuggire dalla povertà del proprio paese per continuare a non esser pagati. “I risultati sono profondamente preoccupanti ma non sorprendenti”, ha rivelato Karim Zidan, membro della Human Rights Foundation, una delle tante organizzazioni che da diversi anni documenta il trattamento riservato ai lavoratori migranti dall’Arabia Saudita. “Assegnare il diritto di ospitare prestigiosi eventi globali a regimi autoritari senza chiedergli conto del rispetto dei diritti umani non fa che incoraggiarli a sfidare i propri obblighi ai sensi del diritto internazionale”. I lavoratori stranieri in Arabia – che provengono da Pakistan, Nepal e Bangladesh – rappresentano oltre tre quarti della forza lavoro del loro settore privato: da chi si occupa delle infrastrutture a quelli che lavorano nei ristoranti o spazzano le strade. Tornando al tema “Mondiali 2034”, uno dei principali appaltatori dello stadio Aramco (compagnia nazionale saudita di idrocarburi e sponsor Fifa) è Six Construct, impresa edile filiale della gigantesca ditta di costruzioni belga BESIX. E diventata celebre negli ultimi anni per aver violato i diritti dei lavoratori in occasione degli ultimi Mondiali in Qatar, secondo un rapporto di Amnesty International. Insomma, quanto emerge dall’indagine svolta non può che far riflettere: una tra le nazioni più ricche del mondo si prepara a ospitare il più grande evento calcistico di sempre sfruttando una buona parte dei suoi lavoratori più poveri. Con poche certezze e insabbiando i tanti punti interrogativi. I lavori, nel frattempo, continuano senza sosta, sottopagati. E sotto il sole.
Photo credit: Populous
L'articolo “Strizziamo i vestiti zuppi di sudore, ma non possiamo scappare”: i lavoratori sfruttati per preparare i Mondiali 2034 in Arabia Saudita proviene da Il Fatto Quotidiano.