Il mondo sta invecchiando. E Padova non è da meno. La piramide demografica ci dice che anche nei Paesi in cui la natalità è in piena primavera (ad esempio quelli africani) gli anziani aumentano.
Nel nostro Paese, e nella nostra provincia, la base giovane è un ricordo degli anni ’90, adesso invece è la pancia (tra i 45 e i 70 anni) ad aumentare.
Nel 2070 gli anziani saranno la parte più numerosa della popolazione. Già oggi – secondo i dati Istat elaborati dallo Spi Cgil – nel Padovano ci sono 54.142 over75 che vivono soli su 113.595 totali.
In città gli over 75 che vivono da soli sono 15.540 su 30.550, pari al 51,87%. I Comuni in cui questa percentuale è più alta sono Urbana (55,27%), Carceri (55,23%) e Candiana (55,16%).
Mentre se la passano un po’ meglio i nonni di Polverara, dove gli over75 soli sono il 39,56% del totale e Baone (37,14%).
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La preoccupazione numero uno per il sindacato dei pensionati è l’isolamento e per evitarlo è necessario investire su progetti d’invecchiamento attivo: «Siamo più vecchi, la vita si è allungata e viviamo di più – commenta il segretario generale dello Spi Alessandro Chiavelli – Questo è un elemento positivo, soprattutto se le persone sono in salute. Diventa drammatico se rapportato alla denatalità: invecchiamo, ma non facciamo figli e questo, già adesso, sta mettendo in discussione l’equilibrio sociale. E diventa drammatico se le fragilità della terza età non sono attenzione. Parlo, prima di tutto, della solitudine che per tanti anziani rappresenta uno dei problemi più rilevanti della propria quotidianità, dal fare la spesa a comprare i farmaci o recarsi ad una visita medica, fino al rischio di subire una truffa cucita proprio sulle difficoltà di chi è avanti con gli anni. La responsabilità è delle amministrazioni e, prima ancora, del governo. Tuttavia non ci sembra che l’esecutivo Meloni si stia muovendo in questa direzione: esiste una legge per la non autosufficienza che non è finanziata, dunque è come se non esistesse. Pensiamo poi ai quasi 100 mila anziani nella nostra provincia (circa 94 mila) che vivono con meno di mille euro al mese. La maggior parte (il 70%) sono donne che vivono con la pensione di reversibilità dei mariti o con la loro pensione, che è tanto più bassa perché tanto più alta è la percentuale delle lavoratrici femminili che sono state costrette a lavorare in maniera discontinua. Pertanto non si tratta di vedere l’invecchiamento come un fenomeno negativo in sé, ma mettere in campo politiche su trasporti, sostegno alle pensioni più povere, infrastrutture, sanità, assistenza, autosufficienza. Siamo al punto che un anziano povero è costretto a scegliere tra alimentarsi o scaldarsi».
Non bastasse, Chiavelli pensa anche agli anziani del domani, i giovani precari di oggi, e la situazione si complica ancora di più: «Il futuro per i giovani di oggi appare ancora più buio perché se penso che il sistema previdenziale è di tipo contributivo, calcolato dunque in base ai contributi versati, non posso fare a meno di concludere che i pensionati di domani arriveranno a 70 anni con un numero di contributi così basso che garantirà loro una pensione di poche centinaia di euro al mese. Questo perché, durante l’età lavorativa e contributiva, hanno dovuto attraversare i cerchi infuocati del lavoro precario e saltuario e della cassa integrazione. Oggi chi guadagna 1.300-1.400 euro a tempo indeterminato, dopo oltre 40 anni avrà una prospettiva di pensione che supererà di poco mille euro. Un modo per risolvere il problema c’è e si chiama lotta all’evasione fiscale e a quella contributiva, che vale circa 30 miliardi all’anno».
