Quello che la lettera non dice: ecco, cosa temono i lavoratori Benetton. A partire dalle voci di chiusura – o dimezzamento, l’ipotesi meno drastica – dello stabilimento produttivo in Tunisia.
Claudio Sforza, amministratore delegato dell’azienda più famosa della Marca, ha aperto giovedì 18 novembre un canale diretto con i lavoratori: ore 17.53, su pc e telefoni di tutti i dipendenti è arrivata, “Care colleghe, cari colleghi”, una lettera di suo pugno.
Remare uniti, razionalizzare, conservare il Dna degli United Colors, rilanciare l’azienda: questa la sintesi di un messaggio forte, diretto, da leader inter pares. Un messaggio che punta a tranquillizzare, a dare una direzione, «in questa fase di discontinuità che stiamo affrontando insieme».
Insieme, concetto ribadito poche righe dopo: «Ci troviamo oggi ad affrontare, insieme, una trasformazione profonda e radicale del nostro modo di fare impresa e di affrontare le sfide del mercato. A renderla fondamentale, per non dire indispensabile, è stato un insieme di complesse cause esterne e interne».
Sforza illustra poi la strategia di rilancio «che poggia su alcuni pilastri solidi, concreti, realizzabili», e li elenca: «L’ottimizzazione della rete commerciale, con interventi mirati sui punti vendita strutturalmente in perdita; la semplificazione e l’ottimizzazione dell’organizzazione interna e dei processi; l’efficientamento generale delle spese».
A questi interventi, scrive ancora l’amministratore delegato, si affiancano «degli obiettivi a medio termine, quali l’implementazione di attività di marketing visibili e ad alto impatto, che ripercorrano in chiave moderna il posizionamento innovativo del passato; il rafforzamento dell’e-commerce».
Cita poi il già annunciato trasferimento del quartier generale da Villa Minelli di Ponzano a Castrette: «I colleghi finora dislocati in diversi uffici saranno ora riuniti per lavorare a stretto contatto tra loro e con il management. Io stesso ho sentito la necessità di essere maggiormente vicino al cuore dell’azienda e in questo senso ho voluto essere tra i primi a trasferirmi». Infine, la chiusa motivazionale: «Abbiamo ancora diversi problemi da risolvere e difficoltà da affrontare. Sono certo che sapremo farlo assieme, diventando noi per primi motori del cambiamento, e scrivendo noi tutti una nuova pagina della storia di questa azienda».
Il flipper di reazioni tra i lavoratori è stato frenetico, la situazione è comprensibilmente incandescente, con i contratti di solidarietà in atto fino al 28 febbraio. E poi? Ecco, si torna a ciò che la lettera non dice.
A partire dalle ipotesi – alcuni vertici aziendali lo avrebbero detto a chi lavora a stretto contatto con le unità produttive estere – che lo stabilimento in Tunisia venga chiuso o fortemente ridimensionato, più che dimezzato. E quello in Serbia si vedrà. Che Dna Benetton si conserva, quello de «il maglione si pensa e progetta qui», se poi non lo produci più tu?