Gli antichi nomoteti andavano dicendo che le loro istituzioni erano dettate dagli dei; e che perciò non potevano essere discusse. I fatti storici hanno sempre e palesemente mostrato cosa diversa, o il contrario; e le istituzioni sono spesso state modificate. Quelle inglesi, che la cultura liberale spaccia per millenarie, risalgono, per l’Inghilterra, a una guerra civile e religiosa di metà del XVII secolo con decapitazione di Carlo I; e per la Gran Bretagna, UK, al 1707-14, con ulteriori mutamenti. La Francia, per farla breve, conta, dal 1788: una monarchia assoluta e due costituzionali, due imperi finti costituzionali, cinque repubbliche, delle tirannidi, e vari scossoni. Un Regno di Spagna esiste solo dal 1808, e in continuo conflitto civile fino al 1939, con monarchie, repubbliche e dittature. Della Germania non parliamo nemmeno; e lo stesso per Austria e Ungheria… E resisto alla tentazione di elencare gli Stati europei che nacquero e morirono, e alcuni rinacquero, e cambiarono forma e governi; per non dire dei confini.
Le istituzioni italiane non sono quelle dettate nell’alcova dalla ninfa Egeria a re Numa; bensì hanno origine in una monarchia costituzionale del 1848 del Regno di Sardegna, quando lo Statuto Albertino distingueva nettamente il potere legislativo dall’esecutivo; ma subito dopo divenne, di fatto, una monarchia parlamentare, con governi espressione della Camera; e un Senato sempre più simbolico. Dopo i turbinosi avvenimenti tra il 1859 e il ’61, l’assetto piemontese venne rapidamente e senza discussioni esteso a tutta Italia, e con il suo problema di debolezza dell’esecutivo. Dissertare delle istituzioni di diritto, e soprattutto di fatto del Ventennio, ci porterebbe lontano, e forse lo faremo un’altra volta. Dal 1943 le istituzioni tornarono al 2 gennaio 1925, quindi alla monarchia parlamentare; dal 2 giugno 1946, repubblica, ma sempre parlamentare. I rinati partiti elessero l’Assemblea costituente, la quale elaborò istituzioni che, con pacata terminologia da costituzionalisti, chiamiamo parlamentari; o, se preferite la cruda verità, partitocratiche. Come la Costituente, le due Camere del 1948 e seguenti risultarono da liste presentate da partiti; e così risultano, anche se a nessuno è vietato candidarsi da solo o a nome di movimenti d’opinione.
Le leggi elettorali, che in pratica sono più importanti delle istituzioni, sono state modificate tante di quelle volte, alla ricerca di un sistema perfetto, il quale, come tutte le terrene cose perfette, ovviamente non può esistere. Questi sono i fatti. Come in Francia etc, anche le italiche istituzioni possono cambiare, e il sole continuerebbe a girare lo stesso senza minimamente commuoversi se l’Italia mutasse veste politiche e istituzionali. Del resto, mentre le nostre istituzioni vengono predicate come il meglio della storia dalla Torre di Babele in poi (e, con americanata, sono stati promossi a “padri costituenti”, anche a “madri”, quelli che erano dei semplici candidati ed eletti, e tra i quali non ricordo alcun Franklin e Jefferson), è dal 2 gennaio 1948 che qualcuno già le vorrebbe aggiustare; e ogni tanto anche la carta vigente ne prevede, con qualche accorgimento, modifiche. E vi ricordare la fallitissima commissione D’Alema? Eccetera.
Io, nel mio piccolo, attirerei l’attenzione sull’incongruenza di due Camere duplicate. Il Senato, concepito come una specie di Camera britannica dei Lord, è in realtà un’assemblea elettiva. Non è nemmeno “senatus” nel senso di vecchi saggi, né eletti né elettori. Sarebbe opportuno un Senato genuino, con i rappresentanti dei corpi intermedi della comunità nazionale: forze armate, Accademia d’Italia quando la rifaranno, rettori di università, figure di specchiata fama… e senza votare né leggi né fiducia, bensì elaborare proposte autorevoli. La Camera legislativa, una, venga eletta con maggioritario secco, il che costringerebbe a selezionare in anticipo le candidature ed evitare, come possibile, avventure casuali. Selezionare, non fare le primarie a euro 2 e aperte ai passanti!
Il premierato va studiato bene; potrebbe essere buono il sistema dei sindaci, con ritorno alle urne nei casi prevedibili. Quello che conta è che non ci siano più girotondi di governi e rimpasti, inclusi quelli balneari. Per i meno anzianotti, erano quelli per durare da giugno a settembre: non scherzo, e ce ne furono parecchi. Va riformata la magistratura, non nel senso di cose nuove, ma il contrario: riportarla alla sua nobilissima funzione di giudizio, quindi di applicazione delle leggi, senza soggettive e variegate e ideologiche interpretazioni. Ci vuole dunque un Giustiniano che abolisca “il troppo e il vano”, le “plurime leggi di corrottissimo Stato”; moltissime delle quali dimenticate, però che possono sempre essere tirate fuori. Lo stesso per una miriade di convenzioni internazionali firmate tanto per, e che, all’occorrenza, vengono riesumate e creano dei casi. Infine, rinnovo la proposta di una Regione Ausonia del Sud con Molise Puglia Basilicata Campania Calabria; e una radicale sforbiciata ai troppi Comuni d’Italia: la mia Calabria ne conta 404. Ci sarebbe, dunque, molto lavoro.
L'articolo Promemoria per i signori del no: le istituzioni non sono eterne. E anche quelle italiane si possono riformare sembra essere il primo su Secolo d'Italia.