La serie A di tennis è il momento in cui tanti giocatori hanno l’opportunità per liberarsi dalla pressione del tour, competere sia in singolo che in doppio senza pensare al ranking ATP, ma spesso quello che manca è la visibilità. Massimo Gaggino è uno storyteller, che con microfono e videocamera cerca di mostrare i dietro le quinte dei giocatori di tennis; la sua nuova avventura è una miniserie sulla squadra di serie A1 di Santa Margherita Ligure, neopromossa dalla A2 e imbattuta nelle prime due giornate, per raccontare una storia e mettere sotto i riflettori anche questa competizione.
D: Ciao Max, di cosa ti occupi di solito?
Max: “Allora, ti spiego: quello che mi piace fare è riprendere i giocatori e raccontare le loro storie in maniera realistica, in base alle azioni e alla vita di tutti i giorni. Io li microfono ed è come se li spiassi: questo approccio è molto meno invasivo, mi porta un prodotto di migliore qualità e mi permette di ascoltare i vari giocatori che comunicano tra di loro”.
D: Perché hai scelto di fare una miniserie sulla serie A?
Max: “La serie A secondo me alla luce di questo è un’occasione perfetta perché c’è un capitano e perché c’è il coaching; quindi, se tu microfoni il capitano, hai tutta la comunicazione che ti serve e il fatto che ci sia un capitano in panchina offre l’opportunità per poter raccontare tutta quella fetta del tennis che noi non conosciamo, cioè il tennis giocato”.
D: Qual è la differenza che noti tra il tennis giocato e quello trasmesso in tv?
Max: “Noi vediamo i giocatori in televisione, li vediamo entrare in campo, li vediamo a giocare, ma non sappiamo cosa pensano e non sappiamo cosa sentono, perché non lo dicono. L’unico momento per sentire le loro emozioni è quando aprono la bocca e le lasciano uscire, altrimenti vedi solo il giocatore che fa grugniti, che gioca e che si siede in panchina e pensa tra sé e sé. La serie A per me è l’occasione perfetta perché c’è il coaching, che ti porta dentro l’azione e offre delle conoscenze di questo sport che non hai senza avere la comunicazione tra giocatore e allenatore”.
D: Tu in sostanza sei promotore del tennis che in tv viene spesso dimenticato, perché si parla così poco di giocatori che sono comunque così in alto nelle classifiche mondiali?
Max: “Ti spiego perché: perché non viene raccontato, non viene promosso. Mancano le persone che raccontano questi giocatori: se tu non sai la storia di questi giocatori, tu non ti identifichi con questi giocatori; se tu non ti identifichi con questi giocatori, tu non vuoi tifare per loro; se tu non tifi per loro, tu non li vedi. Se io non ti racconto la storia di uno di loro, delle difficoltà che ha avuto nel percorso per arrivare lì, del fatto che ha scommesso tutta la sua vita e tutta la vita ai suoi genitori su questo percorso, tu non ti avvicini a lui e non ti identifichi in lui. Se io ti faccio vedere solo lui che gioca a tennis in televisione non è sufficiente, serve mostrare la persona dietro l’atleta”.
D: Cosa si vuole far vedere filmando questi ragazzi di Serie A1?
Max: “Voglio far capire al fan che il professionista non è un robot, ma è una persona. In questo modo il fan non ha più scuse per non provare a fare qualcosa nella sua vita: se il professionista viene presentato come una persona con un talento incredibile allora lui ha quello come scusa. Sinner oltre al talento è comunque una persona che ha lavorato tantissimo”.
D: Per finire, come possiamo a livello di contenuti mantenere il tennis sulla cresta dell’onda?
Max: “Non dobbiamo invecchiare, ma dobbiamo pensare a come rendere in maniera innovativa qualcosa di classico: la serie A secondo me è una scenario perfetto per creare questo tipo di contenuto perché se tu lo rendi uno show, non in senso negativo chiaramente, rivolgendoti un po’ di più allo spettatore, aumenti l’audience, l’interesse del tifoso. In questo gli americani sono molto bravi e dobbiamo avere umiltà e voglia di imparare da loro per rendere originale, mantenendo comunque le nostre radici, questo fantastico sport”.
Francesco Maconi