«Leonardo Del Vecchio era un genio, lo sanno tutti. Ecco, io ho avuto l’occasione di capirlo bene avendo lavorato al suo fianco per 30 anni. Lo ricordo con affetto anche perché mi insegnato molto; soprattutto mi ha concesso sempre quella libertà di pensiero che mi ha portato, in qualche occasione, a pensarla diversamente da lui».
Roberto Chemello è stato uno dei “triumviri” di Luxottica, almeno questa è stata la sua prima vita. Dal 1979, entrato come contabile, al 2008, uscito dal colosso di Agordo come Chief operations officer, dopo esserne stato amministratore delegato.
Triumviro insieme al patron Leonardo Del Vecchio e al socio Luigi Francavilla.
Di Luxottica ha vissuto gli esordi, la crescita, la quotazione alla Borsa di New York, l’espansione mondiale: sempre in prima linea, dividendosi per due anni fra Belluno e New York. Poi l’addio e la seconda vita da imprenditore, dopo essere stato manager.
Ma è sulla prima che indugia ovviamente la curiosità. Lei in disaccordo con Del Vecchio? Quando e come?
«Ricordo un paio di occasioni, non di più. In particolare, sulla nascita della Banca popolare della provincia di Belluno nel 1995. Era un progetto a cui tenevano molto alcuni imprenditori, e lo si può capire bene: avere una “propria” banca dava lustro e soprattutto veniva interpretata come un volano, una leva per sostenere l’economia del bellunese. Io però tergiversavo per alcune mie considerazioni: era un periodo in cui le banche si concentravano, crearne una nuova mi sembrava in netta controtendenza. Poi i pochi sportelli che potevamo mettere sul territorio necessitavano di costi fissi difficilmente spalmabili su una rete così piccola, dal legale al backup informatico. In terzo luogo non avevo proprio voglia di distogliere le mie attenzioni dall’azienda e dedicarmi ad una banca».
Come andò?
«Che alla fine Del Vecchio si convinse e mi toccò fare anche il “banchiere”. Sono felice, peraltro, che un paio di anni dopo riuscimmo poi a vendere tutto alla Popolare di Vicenza di Zonin e i nostri soci portarono a casa il doppio dell’investimento fatto per partire».
Ma come inizia l’avventura di Roberto Chemello a Agordo?
«Sono entrato in Luxottica nel 1979, neolaureato nella nuovissima facoltà di Economia Aziendale di Ca’ Foscari a Venezia, tanto che avevo la matricola 480. Sono stato assunto come contabile, facevo la prima nota».
Come è entrato?
«Avevo uno zio avvocato che conosceva Del Vecchio e sapeva che cercavano un contabile. Nel frattempo avevo avuto offerte di lavoro da Arthur Andersen, Pirelli, Credito Italiano, ma volevo andare in un società in cui non fossi un numero, dove potevo essere valorizzato. E sono stato davvero molto fortunato perché sono arrivato nell’azienda giusta, nel momento giusto, accanto ad un uomo fantastico».
Come andò il colloquio di lavoro?
«Diciamo che a Del Vecchio sono evidentemente piaciuto; e credo gli sia piaciuta in particolare una mia risposta: mi chiese, infatti, cosa pensavo della laurea. E io con semplicità gli dissi che consideravo la laurea solo una formazione di fondo, ma che il lavoro poi uno deve impararlo sul campo. È quello che penso da sempre, è quello che evidentemente lo colpì, lui che laureato non era».
Da lì nasce una stretta collaborazione trentennale?
«Il rapporto con lui è stato molto positivo fin dall’inizio. Del Vecchio era allora abituato a gestire l’azienda sulla base delle impressioni, del suo fiuto, delle innate capacità commerciali, senza soffermarsi troppo sulle analisi economiche. Io, quando avevo tempo, mi mettevo invece a verificare i numeri, a sviluppare statistiche economiche e, quando capivo che Del Vecchio era tranquillo, ne parlavo con lui. Insomma, usare l’analisi economica come strumento di gestione aziendale è stato il terreno su cui si è stabilito il feeling fra noi. Diciamo meglio, il suo nei miei confronti, perché lui è sempre stato l’imprenditore, il capo indiscusso, la guida illuminata. Noi i collaboratori».
Luxottica era in grande crescita, quasi tumultuosa?
«Nel 1980 abbiamo aperto le prime filiali all’estero io e Claudio Del Vecchio, il figlio maggiore di Leonardo. Partivamo insieme per la Germania, la Spagna, la Francia per acquisire società di distributori o aprire filiali di distribuzione diretta. Io poi, a stretto contatto con Luigi Francavilla, ho continuato a seguire l’Europa e Claudio è andato in America. Facevo esperienza, acquisivo un metodo che mi faceva essere più sicuro, veloce ed efficiente nelle operazioni successive».
Poi la quotazione in Borsa nel 1990?
«Bella esperienza, anche perché non c’erano precedenti di aziende italiane quotate al Nasdaq. Sì, la Fiat aveva quotato dei bond, ma non le azioni. Era dunque una strada del tutto nuova e l’abbiamo percorsa bene, con successo; infatti in soli quattro mesi ci siamo quotati e da quel momento la crescita del valore del titolo è stata continua. Senza contare il ritorno di immagine che venne quantificato pari ad una campagna pubblicitaria di oltre 120 milioni di dollari. Ci quotammo per ufficializzare la nostra posizione di leadership mondiale non ancora riconosciuta e per mostrare i numeri veri. Nel 1995 lanciammo poi la coraggiosa espansione con l’acquisizione della Lenskrafters, considerata la più efficiente catena di “retail” negli Stai Uniti d’America, che porterà l’azienda ad avere 8.500 negozi di proprietà in tutto il mondo, insieme all’acquisto di Ray-Ban nel 2000, Sunglass Hut International (2001) e di Opsm (2003) in Australia».
Quanto fatturava Luxottica quando lei è entrato?
«14 miliardi di lire».
E quando ha lasciato?
«Nel 2008, 3,8 miliardi di euro (circa 7.400 miliardi di lire)» .
Quanti dipendenti?
«Diciamo dai 300 di allora ai 70. 000 del 2008».
Come definirebbe questo suo percorso professionale?
«Trenta anni di esperienze professionali uniche, con la fortuna di avere incontrato un imprenditore strepitoso, spettacolare, come Leonardo Del Vecchio. Con lui abbiamo anche fatto tante altre operazioni importanti, come l’acquisizione del gruppo Sme con i Benetton ed un amico e collega che stimo profondamente, come Gianni Mion; poi Euromercato, acquisita dal gruppo Standa. E anche dopo la mia uscita i rapporti sono rimasti ottimi».
Perché ha deciso di lasciare?
«Ho ritenuto che il mio tempo in Luxottica fosse finito dopo trent’anni. Così ho deciso di intraprendere una nuova esperienza, quella dell’imprenditore».
Tanto impegno e stress?
«Certo, l’impegno era totale. Per due anni ad esempio, al tempo dell’acquisizione della grande catena LensKrafters, ho fatto il pendolare settimanale fra Belluno e New York e credo di essere stato in quel periodo il più grande frequentatore del Concorde. Partivo immancabilmente il mercoledì mattina alle 6 da casa, qui a Belluno, aereo da Venezia a Parigi dove prendevo il Concorde e arrivavo, per il fuso orario, alle 8.30 dello stesso mattino all’aeroporto Jfk di New York. Alle 11 ero in ufficio, dove stavo fino al venerdì mattina, quando ripartivo per Milano e da lì in elicottero rientravo a Belluno. Un grande impegno».