“Sono certo che, se avessi frequentato una prostituta donna, l’impatto sarebbe stato enormemente minore. Poi sì, tutti vanno ai Pride”. È un’intervista intensa, profonda, per molti aspetti spiazzante quella che Piero Marrazzo ha concesso a Sette, l’inserto settimanale del Corriere della Sera, in occasione dell’uscita di Storie senza eroi, il libro che ha scritto con le sue tre figlie, Giulia, Diletta e Chiara. Che al padre, e alla società italiana che le ha giudicate, insultate e derise, non fanno sconti. “Mi hanno insegnato come a un padre si possa perdonare di non averle protette”, spiega Marrazzo, che poi rievoca la sera in via Gradoli – era il luglio del 2009 e fu sorpreso con una prostituta transessuale – e spiega la scelta di ripercorrere quella vicenda in un libro.
Piero Marrazzo e quella notte in Via Gradoli
Era luglio del 2009 quando Piero Marrazzo, all’epoca presidente della Regione Lazio, entra in un palazzo di via Gradoli, a Roma, per incontrare la prostituta Natalie. Poco dopo fanno irruzione quattro carabinieri in borghese che gli impediscono di rivestirsi, lo accusano di far uso di cocaina e girano un video a sua insaputa con l’obiettivo di ricattarlo. Che cosa accadde quella sera? “Che dire? Tutto e niente. Quel palazzo con le trans, e dove c’era stato un covo delle Br durante il sequestro di Aldo Moro. Se uno fa una cosa, poi fa parte della sua vita. Una vita sradicata. Dovrei dire oggi che non avrei voluto scendere quei gradini? Non lo dirò. Posso aggiungere che è frequente l’uso della sessualità per colpire gli altri. E che dalla corruzione, che mai mi ha riguardato, si esce. La sessualità invece…”, spiega oggi, quindici anni dopo lo scandalo che ha stravolto la sua vita e quella della sua famiglia.
I quattro mesi di tormento, lo scandalo, le voci sul suicidio
Marazzo decise di non denunciare, convinto di poter risolvere la cosa e soprattutto che la notizia non sarebbe diventata di dominio pubblico. Deflagra invece quattro mesi dopo, un tempo infinito che Marrazzo descrive così: “Ero come scisso. Deciso in politica, giravo il mondo come presidente del Lazio. Muto, solo e schiacciato dalla vergogna nella vicenda personale. Mai ho pensato al suicidio. C’era piuttosto una narrazione che pareva voler spingere al suicidio. Io ero soprattutto infinitamente stanco. Quel mese all’abbazia di Montecassino mi ha aiutato molto”, dice rievocando le settimane trascorse in un convento benedettino. Il resto è agli atti di un processo e nelle pagine di storia recente: le dimissioni, la giostra mediatica che lo fa a pezzi, la politica che si accanisce, poi la magistratura che ristabilisce una parte della verità. Nell’aprile del 2010 la Suprema Corte di Cassazione stabilisce che Marrazzo è stato vittima predestinata di un’imboscata di alcuni carabinieri infedeli della Compagnia di Roma Trionfale. Nessun reato commesso, ma resta la responsabilità di non aver tutelato e protetto né le istituzioni né la famiglia: “Non avevo adempiuto all’obbligo che avevo nei confronti delle Istituzioni. E poi, soprattutto, la mia colpa più grave, verso la famiglia: per la vergogna non avevo messo in sicurezza le mie figlie e mia moglie Roberta”.
Come reagirono Napolitano, Bersani e Franceschini
Nell’intervista a Sette emergono per la prima volta anche le reazioni dei compagni di partito, a cominciare da quelle di Bersani e Franceschini: “Furono telefonate cortesi. Mi chiesero di fare un passo indietro per ragioni di opportunità e accettai. Non ho recriminazioni nei loro confronti”. Marrazzo poi svela anche la vicinanza dell’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che gli disse: “Ti sono vicino come uomo, hai fatto la scelta giusta”. Ma, precisa il giornalista, nel libro non c’è spirito di rivincita o di vendetta. “Ringrazio la Rai per le opportunità che mi ha offerto. Ma la condanna mediatica e moralista è stata forte forte. Le persone comuni, quelle che avevo incontrato come amministratore o che mi avevano seguito a Mi manda Rai Tre, furono meno giudicanti e mi furono vicine”.
Gli insulti subiti dalle figlie di Marrazzo
Il libro nasce da un’esigenza precisa, raccontare i fatti “perché non fa bene tacere”, sottolinea Marrazzo, che ha scelto di scriverlo assieme alle figlie. Le quali, a loro volta, provano a spiegare come quella vicenda non sia stata solo uno scandalo politico ma la storia complessa di una famiglia travolta dal destino. Loro stesse svelano ciò che hanno dovuto subire, dalle battute feroci come “tuo papà ha il vizietto. Almeno Berlusconi le tromba fregne” o ancora “lì non ti siedi, t’attacchi al cazzo, tanto è un dono di famiglia, no?” e pure gli atti violenti come il cofano divelto della macchina, le uova spiaccicate e la scritta: “A Marrazzo piace il cazzo”. “Quante bestialità hanno ferito Giulia, Diletta e Chiara in quei mesi feroci. Le raccontano nella loro devastante crudezza, e senza sconti. Non risparmiano nulla a sé stesse e a Piero. Soprattutto non risparmiano niente a chi quegli insulti li ha pronunciati, a chi li ha condivisi, a chi li ha lasciati passare con indifferenza, se non addirittura con un ghigno compiaciuto, a mala pena celato o perfino rivendicato. Un universo orrendo, che forse oggi sarebbe irripetibile”, scrive il giornalista del Corriere Roberto Gressi.
L'articolo “Se avessi frequentato una prostituta donna l’impatto sarebbe stato enormemente minore. Le mie figlie vittime di battute feroci”: Piero Marrazzo si racconta proviene da Il Fatto Quotidiano.