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La salute mentale e la contenzione meccanica dei pazienti: Liguria la peggiore, Emilia Romagna esemplare, Friuli Venezia Giulia miraggio per tutte. Ma il governo rinvia i progetti per rafforzare i dipartimenti

L’Organizzazione mondiale della sanità l’ha qualificata come “dannosa a livello sia fisico che psicologico”. L’ex ministro della Salute Roberto Speranza aveva messo 60 milioni in progetti di rafforzamento dei Dipartimenti di salute mentale da concludere entro il 2023, scadenza poi posticipata a giugno 2024. Ma la pratica della “contenzione meccanica” rimane una presenza costante dei reparti psichiatrici ospedalieri. Tradotto: nel solo 2022 donne e uomini con disturbi mentali sono stati immobilizzati a letto per 7534 volte in 12 Regioni italiane. Il numero in tutta Italia è certamente molto più alto, visto che le altre 8 Regioni non hanno inviato dati utilizzabili o affermano di non averli, mostrando di non rispettare gli impegni sottoscritti con l’intesa Stato-Regioni del 28 aprile 2022 il cui primo obiettivo è il “superamento della contenzione meccanica”, a partire dal monitoraggio di questa pratica. Inviando decine di istanze di accesso agli atti a tutte le Regioni e Province autonome per ottenere i dati dei registri delle contenzioni meccaniche (che ciascun reparto psichiatrico ha, ma nessuno pubblica) è possibile documentare come non solo il superamento di questa pratica “entro il 2023” auspicato da Speranza non sia mai avvenuto, ma come anche il suo monitoraggio regionale – previsto dall’intesa del 2022 e da impegni risalenti al 2010 – non sia mai stato completato.

I dati delle Regioni
Secondo i dati forniti dalle Regioni il numero più alto nei contenzioni nei Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura – ovvero i reparti per adulti, che però a volte ricoverano anche adolescenti – è la Liguria, dove il numero degli episodi (spesso avvenuti più volte sullo stesso paziente) corrisponde al 27,22 per cento dei ricoveri registrati dal ministero della Salute. Seguono Val D’Aosta (18,7 per cento), Lombardia (17,4), Lazio (17), Marche (15), Umbria (14), Trentino Alto Adige (13), Sicilia (10,5), Calabria (9), Abruzzo (5). L’Emilia Romagna ha la percentuale più bassa (2 per cento), grazie a oltre un decennio di impegno per l’utilizzo di pratiche alternative alla contenzione meccanica, che ha portato il numero annuale di episodi a ridursi, dai 1000 del 2010 ai circa 200 di oggi.

Il numero medio di ore in cui le persone sono rimaste legate al letto è stato però fornito solo da Lombardia (22,8 ore), Emilia Romagna (19,4), Provincia di Trento (18,7) e Bolzano (15,5). La Regione in cui “si lega” per un tempo minore è l’Abruzzo, con 9,6 ore in media, ma guardando nel dettaglio anche qui vi sono persone immobilizzate al letto fino a 5 giorni di seguito. Quanto avviene all’interno della provincia di Trento mostra l’importanza, ai fini di un reale monitoraggio, di avere anche il dato della durata, mancante alla maggior parte delle regioni italiane: anche se nel Servizio psichiatrico di diagnosi e cura del capoluogo ci sono state solo 7 contenzioni in un anno e in quello di Borgo 107, il numero di ore di immobilizzazione al letto è simile: perché a Trento ciascun paziente è rimasto legato per quasi 4 giorni mentre a Borgo le contenzioni sono durate in media 5,2 ore. L’unica regione italiana che non lega nei reparti psichiatrici, né i bambini né gli adulti, è il Friuli Venezia Giulia: è quella in cui più a lungo operò Franco Basaglia, il cui metodo di cura – basato sull’ascolto e la relazione umana durante le crisi e sull’assistenza h24 di numerosi Centri di Salute Mentale sul territorio – fu seguito anche dai suoi successori.

Otto regioni non forniscono dati. Quasi tutte li forniscono incompleti
“I dati richiesti non sono detenuti dalla scrivente amministrazione”: è la sorprendente risposta ricevuta da Veneto, Toscana, Sardegna, Piemonte e Puglia, i cui funzionari – forse ignari dell’impegno preso dall’intesa Stato-Regioni dell’aprile 2022 sul monitoraggio delle contenzioni entro luglio 2024 – ci hanno invitato a rivolgerci direttamente a ciascuna delle aziende sanitarie locali oppure ai singoli reparti psichiatrici ospedalieri. La Campania ha fornito dati relativi solo ad alcuni Spdc, mentre Basilicata e Molise non hanno proprio risposto sul punto. Eppure l’impegno per il monitoraggio regionale di questi dati risale al 2010 con un documento sottoscritto dalla Conferenza delle Regioni e Province autonome a seguito di una segnalazione del Cpt (Comitato europeo per la Prevenzione della Tortura) ed è stato rafforzato nel 2022 dallo stanziamento di 60 milioni destinati progetti con tre obiettivi tra cui il superamento della contenzione meccanica, da realizzarsi entro il 2023, anche se la scadenza è stata posticipata dal ministro della Salute Orazio Schillaci al giugno 2024. Abbiamo inviato le istanze Foia il 1 luglio 2024 – quindi dopo la conclusione dei progetti – ma abbiamo ricevuto dati utilizzabili solo da 12 regioni su 20, mentre quasi nessuna ci ha fornito dati idonei a realizzare un reale monitoraggio, “prima azione necessaria per mettere in atto politiche mirate al superamento della contenzione meccanica”, sottolinea Giovanni Rossi, presidente del “Club Spdc No Restraint”, il gruppo di 24 reparti psichiatrici ospedalieri impegnati a non legare al letto.

Perché si lega: “Risultato di esasperate carenze di personale”
Per Rossella Buccarello, dirigente sindacale della Uil che segue i lavoratori della sanità pubblica e privata l’utilizzo della contenzione è “il risultato delle esasperate carenze di personale che hanno ridotto ai minimi gli organici di molte strutture ospedaliere”. Le contenzioni meccaniche sono viste come “un modo per acquietare e fermare la persona che è affetta da patologie, spesso dimenticando il punto centrale della cura, che è la relazione”. Dunque “si ricorre a strumenti di contenzione e a utilizzo di psicofarmaci – anche quando non sono necessari – perché così risparmio sul fatto che il paziente debba essere vegliato per ore”. Tuttavia uno studio realizzato sui dati degli ospedali dell’Emilia Romagna dal titolo “È facile smettere di legare se sai come fare: Il no restraint è un metodo di lavoro” mostra che dell’utilizzo di tecniche no restraint beneficerebbe anche il personale medico, oltre che i pazienti: emerge che a Ravenna – l’unico reparto no restraint in Regione – non solo si danno meno farmaci, in proporzione al numero dei ricoveri effettuati, ma risultano esserci meno incidenti con il personale sanitario rispetto agli altri ospedali dell’Emilia Romagna.

Come avviene la contenzione meccanica dei pazienti: il video

Come evitare di legare: i metodi no-restraint
Nel podcast Tutta colpa di Basaglia Alice Banfi racconta di una sua esperienza in un reparto no restraint, a Novara: “Stavo talmente male in quel momento, che – anche se le porte del reparto erano aperte – io ho rotto una finestra accanto alla porta e sono uscita da lì. Ho poi aggredito una guardia giurata che aveva cercato di fermarmi. La guardia mi ha riportata dentro ammanettata, poi mi ha tolto le manette. Sono arrivati i medici e mi hanno detto: ‘Ora calmati’. Io aspettavo la contenzione, che non arrivava. E invece mi han detto: “Guarda che noi non sappiamo neanche che forma hanno le fascette: non ce le abbiamo. Adesso stiamo semplicemente accanto a te. Perché ti sei tagliata? Ti medichiamo. Se ti va bene, facciamo una flebo con questo e quest’altro dentro, così ti rilassi e se ne va bene”. E io:“Eh, certo, che va bene!”

Una delle caratteristiche fondamentali del metodo no restraint è l’utilizzo, per le funzioni di guardia, di personale diverso da quello medico, in modo che agli infermieri e ai medici siano assegnate solo quelle di cura: si tratta di un aspetto molto importante per favorire una relazione di fiducia tra i pazienti e il personale medico. Inoltre vi sono molte raccomandazioni che vertono sull’attenzione ai bisogni delle persone ricoverate e sul loro ascolto, anche collaborando con i famigliari. Angelo Fioritti, già direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’Ausl di Bologna e attuale presidente del collegio nazionale dei Dipartimenti di Salute Mentale, spiega come in Emilia Romagna gli episodi di contenzione sono stati ridotti di un quinto in circa 10 anni: “Nel 2009 una paziente morì in un Spdc dell’Emilia Romagna durante una contenzione e l’assessorato istruì una commissione d’inchiesta da cui risultò evidente che questa pratica era pericolosa, non monitorata, spesso non giustificata. L’allora assessore regionale Giovanni Bissoni prese la decisione politica di avviare un programma, prima di monitoraggio e poi di riduzione e azzeramento delle contenzioni. Nel 2016 si proseguì attraverso un processo di sviluppo del consenso con i direttori dei Dsm della Regione”. Ma per ridurre la contenzione, oltre ad un lavoro sui reparti ospedalieri, occorre farne uno sul territorio rafforzando i Centri di salute mentale e i servizi pubblici in modo che siano in grado di prevenire crisi e ricoveri. Lo ha evidenziato una relazione pubblicata nel 2015 dal Comitato di bioetica della presidenza del Consiglio dei Ministri, in cui è scritto: “Gli Spdc che usano la contenzione hanno alle spalle servizi territoriali e reti sociosanitarie deboli”.

Trincas (Unasam): “Come ho liberato quel bambino legato al Gaslini”
Se le contenzioni fisiche secondo l’Oms sono “dannose” per gli adulti, lo sono ancor di più per i più piccoli. Ma in questo caso non sono quasi monitorate a livello regionale. Solo la Lombardia (oltre all’Emilia Romagna che non lega nei reparti per minori e l’Abruzzo e le province di Trento e Bolzano che riportano solo eccezionali episodi) ha fornito dati annuali sulle contenzioni meccaniche nelle neuro-psichiatrie infantili: 116 nel 2023, il 5,3% dei ricoveri. Gisella Trincas, presidente dell’Unione Nazionale delle Associazioni per la Salute Mentale, fa l’esempio di Luca (nome di fantasia), 11 anni: “Era legato al Gaslini di Genova ormai da 12 ore, quando a giugno sono stata avvertita dal padre di una bambina ricoverata nello stesso reparto”. Trincas ha subito segnalato il caso alla Garante dei diritti dei minori della Liguria evidenziando che Luca – provenendo da una comunità per minori – non aveva l’assistenza h24 garantita dai genitori agli altri bambini ricoverati, ma solo la visita di qualche operatore poche ore al giorno. Dopo il pronto intervento della garante nei confronti dei responsabili del reparto, il genitore che l’aveva allertata ha raccontano a Trincas di “una improvvisa grande mobilitazione per gestire Luca senza contenzione”: “Una volta slegato, dopo una sua iniziale aggressione è stato calmato e preparato per andare al parco giochi all’aperto con un terapeuta, un oss e un infermiere, mentre il bambino rideva felice”, racconta la presidente di Unasam.

Nel Lazio, dopo diverse segnalazioni di bambini in situazioni simili a Luca, legati all’ospedale psichiatrico Bambin Gesù di Roma, siamo riusciti ad ottenere i dati delle contenzioni praticate da questo ospedale nel 2023, corrispondenti a quasi l’8% dei ricoveri. Abbiamo chiesto alla direzione Salute e Integrazione Sociosanitaria del Lazio i dati delle altre neuropsichiatrie infantili, ma questa a settembre ci ha risposto di non essere “titolare dei dati richiesti” nonostante i referenti di diversi ospedali ci abbiano detto di averli comunicati alle autorità regionali.

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Questa inchiesta è stata realizzata anche grazie al contributo di Journalismfund Europe e #IJ4EU

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