Prosegue e si fa sempre più serrata la battaglia contro la pirateria. Nel decreto Omnibus – da pochi giorni convertito in legge – è contenuta infatti un’ulteriore stretta contro il “pezzotto” (anche se le virgolette risultano superflue, visto che da pochi giorni la parola è entrata nel vocabolario Treccani). Andiamo a vedere di cosa si tratta.
Due emendamenti al decreto legge Omnibus – a firma dei senatori Zedda (Fdi), Liris (Fdi) e Damiani (Fi) – inaspriscono le misure soprattutto per i fornitori di servizi internet. Nel primo c’è un rafforzamento di Privacy Shield, la piattaforma in funzione dalla scorso febbraio su cui chi detiene i diritti di un contenuto può chiedere agli internet service provider di bloccarne la trasmissione illegale.
Da ora in poi l’obbligo di iscriversi alla piattaforma, e dunque di contribuire agli stop dei siti pirata, vale anche per i fornitori di Vpn e Open Dns, anche se non si trovano in Italia. Queste ultimi, recita la nuova norma, “devono comunicare, senza ritardo, all’Agcom il proprio rappresentante legale in Italia”.
Dentro Privacy Shield, se un detentore di diritti ravvisa una violazione del suo copyright su un contenuto può intimare tramite un alert al fornitore di disattivare entro 30 minuti l’indirizzo Ip incriminato.
Il secondo invece si rivolge a internet provider, motori di ricerca, fornitori di reti di distribuzione di contenuti servizi Vpn e Dns e molti altri soggetti. Nel momento in cui questi vengono al conoscenza di condotte illegali hanno l’obbligo di "segnalare immediatamente" alle autorità "tali circostanze, fornendo tutte le informazioni disponibili". E l’omissione della segnalazione" e "della comunicazione" è punita "con la reclusione fino a un anno" per i rappresentanti legali delle aziende.
Severe anche le sanzioni nei confronti degli utenti, introdotte da una legge dello scorso anno e che un protocollo firmato qualche settimana fa da Agcom – con Guardia di Finanza e procura della Repubblica di Roma – dovrebbe rendere di più semplice attuazione. Questo nuovo regolamento prevede infatti la possibilità di verificare le identità di chi usufruisce di un servizio streaming illegale, così da rendere più semplice comminare a suo carico una multa che va dai 150 ai 5mila euro. Per gli utenti, in ogni caso, non è prevista la reclusione in carcere.
La novità legislative hanno suscitato le perplessità di molti fornitori di servizi. Diego Ciulli, responsabile degli affari governativi e politiche pubbliche di Google, in un post Linkedin ha criticato la scelta, sottolineando come si tratti di una norma che rischia di ingolfare il sistema giustizia, rendendo inefficaci i controlli. «Sapete quante sono al momento le violazioni del diritto d’autore di cui Google è a conoscenza? 9.756.931.770.
Sulla stessa posizione anche l’Aiip, l’Associazione italiana internet provider: «La conseguenza indiretta di questo provvedimento – spiega il presidente Giovanni Zorzoni – sarà quella di gravare gli operatori di accesso ad Internet della sorveglianza attiva del traffico, rischiando di violare sia le normative nazionali, sia quelle europee, e mettendo a rischio il principio di ‘mere conduit’ su cui si fonda la nostra attività».
Il pezzotto è un decoder che – tramite una tecnologia denominata “Iptv” – è in grado di intercettare il segnale delle piattaforme pay-tv e riproporlo a chiunque sia in possesso di una rete internet. Chi gestisce questo sistema illegale mette a disposizione il tutto a prezzi molto ribassati rispetto al costo degli abbonamenti di piattaforme come Sky e Dazn per lo sport, o Netflix per i contenuti di intrattenimento.