Lontani i tempi dell’Anzhi Makhachkala, delle partite trasmesse su Sky , dei campioni soffiati a suon di milioni ai top club europei e del mondiale di calcio 2018, il più costoso di sempre. È servito Miralem Pjanic, 34enne ormai da tempo fuori dal grande calcio, per riaccendere una (flebile) luce sulla Premier Liga russa. Già, perché vista l’assenza dei club dalle coppe e della nazionale dalle relative competizioni – decisa da Fifa e Uefa dopo l’invasione dell’Ucraina – inevitabilmente l’attenzione, pure quella dei calciofili più attenti, si era affievolita di molto: il passaggio dell’ex juventino, svincolato dopo l’esperienza negli emerita ha suscitato più che altro nuova curiosità. “Ha fatto un po’ di rumore perché è andato al Cska”, dice Georgy Kudinov, giornalista sportivo italo-russo, “se Pjanic, che è comunque un calciatore a fine carriera, fosse andato allo Zenit o allo Spartak avrebbe avuto una eco minore: il Cska non è messo granché bene sotto il profilo economico a differenza delle altre due”.
Spartak e Zenit dominanti (anche se oggi in vetta a sorpresa ci sono Krasnodar e Lokomotiv), in particolare la squadra di San Pietroburgo, in un campionato che ovviamente è molto diverso rispetto al pre-guerra, già a partire dai valori e dalla composizione delle rose: nel periodo d’oro la Premier Liga valeva circa 1,5 miliardi di euro secondo Transfermarkt, oggi circa 900 milioni. A differenza di quel che accade nel basket (leggi qui l’approfondimento), i calciatori europei occidentali si contano sulle dita di una mano dopo la finestra aperta dalla Fifa dopo l’inizio della guerra che ha permesso a calciatori e allenatori che lavoravano in Russia o Ucraina di trasferirsi altrove. “Il livello è sceso, certo – spiega Kudinov – e il mercato in entrata guarda principalmente al Sud America, con molti brasiliani e colombiani. O ai paesi dell’est, con Armenia, Serbia, Albania, ma anche in Africa. In uscita invece se si vuole gli affari si fanno, vedi Safonov che è passato dal Krasnodar al Parist Saint Germain ed oggi è titolare. Certo, è più difficile”.
E le difficoltà non sono solo quelle tradizionali: “Prima c’erano parecchi osservatori: il campionato russo era appetibile per scoprire nuovi talenti (vedi Kvaratskhelia del Napoli, ndr), oggi invece non solo non ci sono più osservatori, ma addirittura la Russia è bannata dal sistema Wyscout, riferimento per chi vuole informazioni sui calciatori. Quindi se un club è interessato a un calciatore che gioca in Russia deve aspettare le gare della nazionale, eventualmente”.
E l’assenza di possibilità di confronto internazionale sia per i club che per la nazionale è una realtà che ovviamente porta conseguenze: “Come nel caso di Miranchuk (Anton, il gemello di Aleksej ex Atalanta e Torino), che avrebbe potuto firmare a 2 milioni e mezzo per lo Zenit e invece è andato in Svizzera al Sion per una cifra che credo sia tre volte inferiore. La nazionale poi – continua Georgy Kudinov – si riunisce tutti i mesi, ma per amichevoli che sono tutto fuorché performanti: a inizio settembre hanno giocato in Vietnam, poi avrebbero dovuto giocare contro la Thailandia ma è arrivato un uragano e sono dovuti ripartire, prima ancora avevano giocato con Cuba, vincendo 8 a 0, questo di certo non contribuisce”.
Per ovviare si era pensato di partecipare alle competizioni asiatiche: “Lo scorso dicembre questa ipotesi, che era in campo ufficialmente, è stata discussa, ma poi si è preferito evitare perché comunque la Fifa non avrebbe dato l’ok. Perché la Russia non è mai stata espulsa dalla Fifa, anzi, partecipa anche alle riunioni con i suoi delegati”, dice Georgy Kudinov. Che prosegue analizzando le eventuali prospettive “Previsioni? Impossibile farne, qualcosa si sta muovendo però a livello giovanile, il Cska ad esempio è risultato terzo nel torneo Grande Torino che si è disputato in questi giorni, per squadre under”.
Se tuttavia l’attenzione a livello internazionale per il campionato russo è ovviamente scemata, in patria non è accaduto lo stesso secondo Kudinov: “La media di tifosi allo stadio è rimasta accettabile, per lo Zenit ad esempio si parla di 30mila spettatori a gara, e anche per quanto riguarda gli ascolti tv non c’è stato un calo sensibile, anche perché in Russia almeno tre o quattro partite a settimana vengono trasmesse in chiaro e questo naturalmente contribuisce a tenere vicini tifosi e appassionati. Semmai in campionato una flessione si registra nelle curve, ma non per motivi legati alla guerra o al calo di livello della Premier Liga: hanno introdotto una sorta di tessera del tifoso e gli ultras si rifiutano di sottoscriverla e andare allo stadio. In coppa nazionale invece, dove non serve quella card, le curve si riempiono”. Tutto il mondo è paese dunque, e tra ban, ipocrisie ed emarginazione il pallone continua a rotolare, nonostante tutto.
L'articolo Che fine ha fatto il calcio in Russia? Isolato da tutto, tra ipocrisie e amichevoli improbabili: “Il livello è sceso, ma in patria il seguito non cala” proviene da Il Fatto Quotidiano.